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Il libro Variante lavoro di Maurizio Minnucci e Carlo Ruggiero (pp. 112, Futura Editrice, euro 13) è una fotografia del lavoro nell’Italia della pandemia. Il lavoro, come suggerisce il titolo, diventa una variante del Covid, la più diffusa, quella che colpisce al cuore la società, lasciando indietro i più deboli. Sono le storie di questi due anni, alcune, personali, che ne rappresentano e ricalcano tante e tante altre. Ognuno di noi, leggendole, può ritrovare un pezzetto del suo lockdown, rivivere un’emozione. A una prima lettura sembrano storie di solitudine, eppure è proprio seguendo lo sviluppo e gli effetti di queste vicende che ci sentiamo meno soli, troviamo un file rouge, una connessione, un sentire comune.
È nei genitori che riscoprono il piacere di sacrificare qualcosa del proprio lavoro e reinvestirlo nella cura dei figli cui possono dedicarsi, per la prima volta, grazie al telelavoro. Nel padre che spariva la mattina e ricompariva la sera e, da un giorno a un altro, va a prendere i bambini a scuola. È nello startupper giovane, geniale e rampante, che abbandona la via maestra – legittima – del profitto per lasciarsi guidare dalla solidarietà e dal bisogno di trovare e condividere gratuitamente una soluzione all’inferno sanitario. È nella maestra di danza, nella sua storia di sacrificio e riscatto, prima diventata operaia per necessità e poi tornata a insegnare nella scuola che con tanta fatica aveva fatto nascere.
È anche nella disperazione senza prospettiva - che purtroppo molti di noi hanno conosciuto – provata dal migrante dimenticato in una baraccopoli e bloccato in una sopravvivenza senza sbocco. È nell’orgoglio tradito di quei lavoratori dell’Hotel Sheraton messi alla porta e costretti a inventarsi un futuro che non esiste.
È un giro d’Italia in cui la piccola storia serve ad accendere la luce su una condizione, un settore, un segmento della società e del mercato del lavoro che gli autori, con dati e interviste, declinano, seminando le briciole amare di un pane quotidiano che appare sempre più difficile da digerire. È la cartella clinica di un Paese malato, contagiato da questa terribile variante lavoro che, come fosse una versione sociale del Covid, lascia molte delle sue vittime senza il respiro di una prospettiva, senza un conforto e un sostegno cui appoggiarsi.
Perché ci racconta come, dal rider alla colf ucraina poi diventata estetista, dal medico all’impiegato, il lavoro in questo Paese stia perdendo, già da prima della pandemia, valore e rispetto e regole che lo proteggano dal farsi sfruttamento. È un libro che resterà un affresco nitido di questa Italia dei primissimi anni Venti, delle sue paure, delle sue speranze, dei suoi vizi e delle sue virtù. Proprio per il merito e l’ambizione di non fermarsi alla mera testimonianza e, nel contempo, di non diventare per forza saggistica, ma di cercare di raccontare una storia corale, la storia di tutti, attraverso gli occhi e le vite di alcuni.