Portare il teatro in carcere per fare uscire le detenute dal carcere. Un’evasione bella e buona, con la mente, certo, ma in qualche modo anche col corpo. È uno dei tanti obiettivi perseguiti e centrati dal progetto Donne del Muro Alto, che coinvolge le detenute della sezione femminile di Rebibbia, un muro nel muro dell’istituto penitenziario. Un percorso che dura da undici anni e che oggi vede la realizzazione di attività dentro e fuori quelle mura.

Pregiudizi al femminile

“Il laboratorio è nato nel 2013 dopo un’esperienza fatta nel carcere maschile di Rebibbia”, racconta la regista Francesca Tricarico: “Ho iniziato a pormi delle domande: si parla sempre di carceri maschili, uomini che leggono libri, che fanno teatro, che si laureano. E le donne? Cosa fanno? In giro si racconta davvero poco di quel mondo e quel poco è pieno di pregiudizi: è difficile lavorare con le donne, vivono male la detenzione, ancor più portare a termine un progetto, e così via. Questo ha alimentato la mia curiosità. E così ho iniziato un percorso”.

Abissi e giudizi

Con 380 detenute su 272 posti disponibili, tra cui due mamme con bambini, la casa circondariale di Rebibbia, un tasso di affollamento superiore alla media, conta due grandi reparti e quattro più piccoli, spazi verdi e un’azienda agricola. Nata negli anni Cinquanta, quando ospitava anche minorenni, oggi è il carcere femminile più grande d’Europa. Qui sono recluse donne che spesso vengono da esperienze di violenza, di abbandono, persone che hanno tutta la famiglia dietro le sbarre.

“Ho vinto la grande diffidenza delle donne – prosegue Tricarico -: è più complesso, è vero, c’è più rabbia, ma quando entri in questa dimensione riesci a fare un lavoro notevole. Perché le donne sono molto coraggiose, non hanno paura di nuotare nei loro abissi e di essere giudicate. E dal reparto alta sicurezza il laboratorio è stato portato alle sezioni comuni, poi al carcere di Latina, quindi alla sezione transgender di Rebibbia nuovo complesso, dove si trovano le donne trans che non sono operate”.

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Teatro dentro e fuori 

Un altro laboratorio fatto all’esterno, con attrici ex detenute, è diventato uno spettacolo dedicato al cinema e al teatro in carcere ed è stato presentato al museo Maxxi alla Festa del cinema di Roma, primo atto della nuova stagione: dentro le mura si lavorerà alla scrittura e alla realizzazione di una nuova pièce, da portare in scena in primavera nel teatro del penitenziario; fuori, la compagnia andrà in tournée in alcuni istituti di pena romani con l’Olympe de Gouges, la storia della paladina dei diritti delle donne durante la rivoluzione francese, finita in carcere e poi messa a morte con la ghigliottina. Proseguiranno inoltre per il secondo anno gli incontri di educazione alla legalità nelle scuole e le matinées per i ragazzi dello spettacolo Olympe a dicembre.

Doppio stigma

“Per il laboratorio all’esterno è difficile trovare uno spazio adeguato per le prove”, conclude la regista: “Il progetto piace a tutti, ma poi scopri che sulle donne c’è un doppio stigma: perché hanno vissuto un’esperienza detentiva e perché sono donne. Io sono orgogliosa del loro coraggio e del coraggio dei loro figli che non si vergognano con i compagni di classe. Sono orgogliosa e anche onorata di lavorare con loro. È un’esperienza che ti cambia la vita per sempre. Quando perdi l’equilibrio, pensi a loro e tutto diventa immensamente piccolo. A livello umano ho più preso che dato. Devi fare anche tu un percorso, doloroso, ma il carcere mi ha regalato dieci anni di vita in più, per l’esperienza e l’umanità. Dopo, niente è più come prima”.