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L’appuntamento è in un’aula nascosta di biochimica, dentro la città universitaria della Sapienza di Roma. Sembra un ritrovo carbonaro ma non lo è, per numeri e spirito. Si discute di “una vicenda non individuale, ma di dimensione collettiva”, “il frammento di una cosa più grande”, chiarisce subito Christian Raimo, insegnante e scrittore, raggiunto da un provvedimento disciplinare da parte del ministero dell’Istruzione e del Merito per alcune affermazioni “inadeguate” nei confronti del titolare del dicastero, Giuseppe Valditara. Motivazioni deboli, che si aggiungono a una sanzione di censura ricevuta dallo stesso Raimo già in agosto per “comportamenti non conformi”.
L’iniziativa è stata organizzata dalla Flc Cgil, raccogliendo in presenza e da remoto la partecipazione di varie personalità del mondo della cultura insieme a docenti, studenti e semplici curiosi. Gli interventi si susseguono a ritmo quasi frenetico, come fosse impellente il desiderio di manifestare un certo tipo di militanza, e non soltanto solidarietà a Raimo, la cui situazione diventa l’occasione per riflettere sulla condizione della libertà d’espressione nel nostro Paese, e della libertà in genere, dopo due anni di governo Meloni.
Perché se “il fascismo storico non può tornare, gli estremismi sono sempre dietro l’angolo” (Dominijanni), e l’attacco complessivo alla partecipazione collettiva e ai movimenti di associazione è ormai un dato di fatto, come il ddl sicurezza dimostra; ma si realizza muovendosi anche attraverso provvedimenti ad personam, basti tornare alla querela poi ritirata nei confronti di Luciano Canfora, o alla recente vicenda di Federico Zappino, reo di divulgare teorie gender e queer in ambito accademico.
D’altra parte, riavvolgendo il nastro di questo esecutivo, in meno di un biennio si è riusciti a partorire il decreto rave, un biglietto da visita che già diceva tutto, e che ha impegnato i lavori parlamentari per un paio di mesi; il disastro di Cutro, dove oltre le vite umane è stata perduta anche la dignità; il decreto Caivano, maturato da un’altra tragedia per insistere su autorità e autoritarismo nei confronti dei minori. In tema di scuola si affiancano poi le discutibili e a tratti incomprensibili linee-guida sull’educazione civica, con la ciliegina del voto in condotta, per dotare di eventuale clava quei docenti che non credono allo strumento del dialogo. Il fiocco invece è stato messo, per l’appunto, dal codice di comportamento per professori e in genere per i dipendenti pubblici, un avvertimento che odora di minaccia.
Se dunque, come sembra, ci troviamo di fronte a una “torsione democratica” (Pratelli), è arrivato democraticamente il momento di reagire, più che resistere, perché l’esercizio della critica, soprattutto per i lavoratori della conoscenza, è il nostro pane quotidiano, non quello di allenare alla cieca obbedienza, attività alla quale si applicano già in molti, sempre di più.
Un esempio la recente presentazione alla GNAM dell’ultimo libro di Italo Bocchino (“Perché l’Italia è di destra”), secondo alcuni “da adottare nelle scuole” e sul quale nessuno deve obiettare, né chi si è permesso di scrivere una lettera alla direzione della Galleria per segnalare l’incongruenza di certi eventi (subito trasformata in una sorta di lista di proscrizione), e neanche chi tra il pubblico vuole intervenire sui contenuti del volume. Vale a dire (lo ha ricordato Marino Sinibaldi, che di presentazioni se ne dovrebbe intendere) togliere il sale di ogni incontro che ruota attorno a un libro: il confronto con il pubblico.
L’assemblea però non si è parlata addosso, con buona pace del sempre vispo Francesco Storace, che alla vigilia battezzava l’incontro come frequentato da “intellettuali, scrittori, giornalisti, politici e perditempo”. Oltre che consigliargli L’elogio dell’ozio di Bertrand Russell, il già “Epurator” di orgoglio missino sarebbe rimasto sorpreso nell’ascoltare riflessioni autocritiche in merito allo stato dell’arte, perché se siamo arrivati a questo punto le responsabilità appartengono anche al passato, condizionato da un centrosinistra nel migliore dei casi inerme, in altri colpevole per aver “preparato il terreno a certi provvedimenti” (Orfini).
Anche perché il de-finanziamento dell’istruzione pubblica non è iniziato oggi, e nemmeno ieri; ed è proprio questo, in un certo senso, il peccato originale in termini di attacco alla conoscenza, nel quale a tratti aleggiano i contorni della riforma Gentile; e se non è il progetto del ventennio, troppo somiglia al modello ungherese dell’amato Orbàn.
Al tirar delle somme, la realtà concreta ci dice che comunque un professore come Christian Raimo si può difendere, mentre altri insegnanti no, e anche questa è una conseguenza della progressiva desertificazione della politica dai luoghi di socializzazione. Da qui a criminalizzare qualsiasi forma di partecipazione il passo è breve, con l’intento di rimuovere l’idea in sé di conflitto sociale, cuore di ogni dialettica.
Le conclusioni di Gianna Fracassi, segretaria generale della Flc Cgil, ci ricordano come allora “il personale, se non politico, torna almeno a diventare pubblico”; e se non siamo alla repressione, come purtroppo accade in tante altre parti del mondo, un certo clima di intimidazione comincia a diffondersi, soprattutto nei confronti della rappresentanza sociale, attraverso un’azione politica che “non è di governo, ma di comando”.
L’assemblea si scioglie, con l’intenzione di rivedersi presto. Perché reagire vuole dire continuare a esserci, con la mente e i corpi.