Nel 2007 Singur, centro rurale a 40 chilometri da Calcutta, nello stato del Bengala Occidentale, era presidiato dall’esercito. Non era possibile fermarsi più di un giorno, trascorrere lì anche solo una notte: a sera la polizia controllava che i visitatori avessero lasciato l’area, dopo averli tenuti d’occhio tutto il giorno.
Tanto spiegamento di forze era dedicato al contenimento della rivolta dei “violenti contadini di Singur”, come capitava fossero descritti in quei giorni da certa stampa italiana.
Ecco, in questa foto, una piccola rappresentanza della feroce popolazione locale.
Ho girato il paese e le campagne, ho incontrato i saggi della comunità, sono stata nelle case dei contadini, ho assistito a un comizio di Mamata Banerjee, leader del Trinamool Party, allora all’opposizione, che poteva essere l’occasione buona per un’accensione degli animi, ma ho visto solo una collettività stretta intorno alla sciagura che l’aveva colpita, l’esproprio – da parte del governo, comunista marxista, del Paese – di mille ettari di terreno coltivato, offerto in dono alla Tata Motors per la costruzione dell’impianto destinato alla produzione della Nano Car, la piccola utilitaria economica che doveva invadere il mercato indiano, con la partecipazione della Fiat.
Mille ettari coltivati per lo più a patate, una qualità speciale di patate con un buon mercato, fonte di reddito dignitosa per i contadini della zona, che hanno manifestato il loro dissenso, hanno organizzato cortei e comizi, hanno cercato di difendere terra e sussistenza. Violenta è stata la repressione delle manifestazioni di protesta, culminata nell’uccisione della diciassettenne Tapasi Malik, membro del Comitato per la difesa delle terre agricole di Singur e anima della protesta dei giovani attivisti, brutalizzata e bruciata viva per colpire al cuore il movimento.
La lotta dei contadini del Bengala Occidentale ha ricevuto un vasto appoggio internazionale, in loro favore si sono espressi nel 2007 anche i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil.
Nell’ottobre del 2008 la Tata Motors, pressata dalle proteste, ha abbandonato Singur e l’impianto che vi era stato costruito, per spostarsi nello stato del Gujarat, ma ci sono voluti dieci anni perché una sentenza della Corte suprema indiana condannasse la requisizione delle terre e ne decretasse la restituzione ai contadini.
Una vittoria amara. A tornare indietro erano terre costruite, inquinate, di ridotta qualità, che lo Stato è riuscito a bonificare solo in parte e che oggi i proprietari, in realtà sconfitti una seconda volta, stanno cercando di vendere.
(La foto era parte della mostra sulla resistenza a Singur realizzata in collaborazione con il Centro di documentazione sui conflitti ambientali).