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Molti libri e studiosi si sono occupati della storia di Guido Rossa (vale la pena ricordare almeno l’operazione editoriale libro+dvd del 2009 di Ediesse/Futura, con “Il testimone” di Paolo Andruccioli e il film di Giuseppe Ferrara “Guido che sfidò la Brigate Rosse”). La maggior parte insiste sulla figura del sindacalista “vittima del terrorismo” ucciso a Genova il 24 gennaio del 1979, un omicidio che segnò la fine delle Brigate rosse nello stesso momento in cui le loro pallottole raggiunsero il corpo di un operaio metalmeccanico, contraddizione talmente evidente e aberrante da seppellire, insieme a quel corpo, qualsiasi rigurgito teoricamente legato alla “lotta di classe”.
Da quel giorno il nome di Guido Rossa si è immediatamente trasformato in un’icona, un simbolo, il martire che testimonia l’incolmabile distanza tra le battaglie sindacali di quegli anni, decisive per i diritti dei lavoratori, e la follia terrorista che nel corso dell’intero decennio Settanta aveva imperversato seminando dolore e morte. Oltre questa immagine, cristallizzata nel tempo, l’ultimo lavoro di Sergio Luzzatto, genovese di nascita, attualmente docente di storia moderna europea in Connecticut, rende giustizia all’uomo Guido Rossa, grazie a una ricostruzione biografica esemplare e appassionata, dal titolo Giù in mezzo agli uomini. Vita e morte di Guido Rossa, accolta nella nuova serie degli “Struzzi” Einaudi (pp. 237, euro 16).
Luzzatto inizia il suo racconto nel giorno del funerale di Rossa, rivivendo la sue emozioni di giovane studente, per poi subito condurci nel cuore dell’esistenza di Guido, nato nel Bellunese il primo dicembre 1934, cresciuto da una zia, a soli tre anni trasferito in quel di Torino per raggiungere il resto della famiglia dato che la madre, prima come balia, poi come custode in azienda, aveva trovato lavoro. Poco più che adolescente il primo impiego in fabbrica, e appena dopo l’amore per le scalate in montagna, la sfida alle vette più alte e impervie, che lo porterà in un viaggio incredibile a raggiungere anche alcune cime dell’Himalaya. Una passione sempre ricordata, quella dell’alpinismo, quando si parla di Guido Rossa, e che in questo libro viene quasi psicoanalizzata, per dare prova di un carattere fuori dal comune: solitario ma non troppo, taciturno ma non troppo, a volte scomodo, decisamente libero. Ma non c’è stato soltanto il grande scalatore, e per raccontare una personalità tanto forte e dallo spirito così irrequieto, viene incontro la pagina 99 del libro:
“Fin da ragazzo, Rossa non se ne era mai stato con le mani in mano. A quindici anni aveva cominciato a lavorare in fabbrica come meccanico, dai diciotto in poi si era affermato come uno scalatore tra i più forti della sua generazione, a ventidue aveva preso a lanciarsi col paracadute da alpino assaltatore, a venticinque era entrato a Mirafiori Sud per stampare lamiere da fresatrici Keller alte due piani, a ventisette si era trasferito a Genova per ricominciare da padre di famiglia quale aggiustatore dell’Italsider, a ventotto era partito per conquistare un settemila in Nepal… tutto si poteva dire di Guido Rossa trentenne, salvo che se la fosse presa comoda”.
A tutto questo aggiungete una crescente dedizione alla fotografia, l'interesse per la politica, e la morte tragica del suo primogenito ancora bambino che, inutile dirlo, lo segnerà per sempre, anche dopo la nascita di Sabina. Passati i trent’anni, l’impegno in Italsider nel ruolo di delegato sindacale Fiom-Cgil lo porterà sempre più a occuparsi dei compagni di fabbrica, in generale della società in cui vive, scendendo “giù in mezzo agli uomini” per scalare altri tipi di montagne, quelle rappresentate dalle divaricazioni di classe, dalle distanze che separano i pochi ricchi dai tanti poveri, per affrancarsi “dal vizio di quella droga che da troppi anni ci fa sognare e credere semidei o superuomini chiusi nel nostro solidale egoismo”. Rossa sostituisce alle massime di Friedrich Nietzsche, copiate di suo pugno nelle didascalie degli anni giovanili, i versi de “I ricordi” di Giuseppe Ungaretti, ricavandone nuova ispirazione e conforto.
Una vita così vissuta non poteva concludersi con una morte banale, e gli anni appena precedenti quel 24 gennaio 1979 si avvicinano alla fatidica data nel segno di un uomo che rimane se stesso, che combatte chi non combatte il terrorismo a partire dai compagni di fabbrica, senza temere di affrontare a viso aperto i rischi che tale atteggiamento comporta.
Lo scrupoloso metodo storico di Luzzatto, al servizio di un’intensa scrittura narrativa, aggiunge alle voci della moglie, della figlia e degli amici più intimi di Guido Rossa il commento di appunti e documenti a lui appartenuti, quasi tutti ancora mai consultati. Il risultato è un libro che mancava, di cui avevamo bisogno.