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Sono sette in scena, con la tuta verde da lavoro. Alle loro spalle un’impalcatura di ferro, praticabile, che ricorda lo spazio di una fabbrica. Il turno di notte è lo spettacolo scritto e diretto da Gianpiero Francese, regista lucano che ha deciso di portare in scena una storia che, chi come lui vive a Melfi, ha conosciuto in questi anni e conosce molto bene. La trama si ispira, infatti, alla vicenda degli operai della Stellantis e per la drammaturgia Francese ha preso spunto dai racconti reali dei protagonisti.
Gianpiero Francese, come nasce Il turno di notte?
Vivo a Melfi e conosco bene le storie di questi operai. Per anni sono stato pubblico, ho ascoltato le loro testimonianze, i loro travagli, dalla ‘primavera di Melfi’, vent’anni fa, fino a questa situazione paradossale della gestione francese di Stellantis. Già da qualche anno avevo in mente di dedicargli uno spettacolo e poi finalmente l’ho fatto. Nell’ultimo anno e mezzo mi sono impegnato nella scrittura, poi ho chiamato un cast di attori eccezionale, i migliori della Basilicata, e abbiamo allestito una commedia che racconta una vicenda sui generis.
Tutto nasce da un incidente, gli operai restano chiusi nello spogliatoio della fabbrica.
Sì, sono costretti a restare rinchiusi in seguito a una scossa di terremoto, che blocca la porta. Non riescono più ad aprirla: da qui nasce un confronto, una lunga serie di confessioni, fino allo sviluppo di episodi a sorpresa. A un certo punto, per esempio, la porta si sblocca, entra un francese e da quel momento in poi il confronto si fa ancora più aspro. I protagonisti si interrogano su cosa significhi oggi la classe operaia, ripercorrono le battaglie combattute insieme ai sindacati. Tutte cose che mi sono state raccontate, e che nello spettacolo proponiamo al pubblico come grandi punti interrogativi, che aspettano risposte. Il teatro ha tra i suoi compiti anche quello di porre interrogativi.
Porre interrogativi, a teatro, è molto più importante che dare risposte, ed è uno dei compiti anche della commedia. Per questa ragione l’hai scelta come linguaggio per affrontare un tema serio come la vicenda Stellantis?
Sì, è una commedia molto divertente, però entra ed esce dalle tematiche serie. Faccio una citazione, mi sento molto vicino a una certa drammaturgia di Ibsen della verità e della visione, nel senso che lo spettacolo è sinusoidale: si ride molto, ma ci si commuove anche, ci si emoziona, si pensa, ci si arrabbia. D’altronde con attori come Peppe Centola e Dino Paradiso il divertimento è assicurato, ma senza mai sfociare in quella superficialità. Ecco, parlerei di leggerezza, e quella non è mai superficialità.
Quando si scrive una storia intimamente e intrinsecamente legata a un territorio, si avverte anche un po' la responsabilità di quello che sarà il risultato. Sono venuti degli operai a vedere lo spettacolo?
Sono venuti e sono stato molto felice. Mi hanno fatto i complimenti, ma anche qualche piccolo appunto tecnico, per così dire, sulla descrizione non completamente esatta di alcune abitudini di fabbrica. Noi allora abbiamo ripreso alcune cose, ci abbiamo lavorato per modificarle. Abbiamo seguito i loro consigli, mentre invece si sono congratulati rispetto a come abbiamo affrontato le tematiche importanti.
Si diceva prima che lo spettacolo riflette su cosa sia oggi la classe operaia. Il teatro negli ultimi anni ha provato a raccontare il mondo del lavoro – pensiamo a “Sette minuti” di Massini, per la regia di Alessandro Gassman e con Ottavia Piccolo. Portare in scena questi temi è un modo per restituirli a una collettività che spesso li ignora.
Certo. Credo che il teatro abbia anche questo compito. Adesso partirà la nostra tournée: dall’8 al 10 marzo in Sicilia, poi Foggia, e di nuovo Basilicata. La prossima stagione ci vedrà molto probabilmente a Roma, Torino, Napoli.
E chissà che lo spettacolo, che non è mai un testo chiuso ma sempre in dialogo aperto con la realtà, non si evolva ancora, insieme alle vicende dei suoi protagonisti.
Sicuramente. Nello spettacolo c'è un piccolo monologo che si riferisce a un episodio realmente accaduto a Pomigliano d'Arco, o alcuni fatti della ‘primavera di Melfi’, all’Anic di Pisticci. Sono racconti che ho raccolto attraverso la testimonianza del padre di uno dei miei attori, che al tempo era un sindacalista. Grazie a queste storie ho cercato di far emergere la verità di chi è stato protagonista di quelle lotte e di quelle conquiste. Questi operai hanno un forte senso di appartenenza verso una fabbrica alla quale hanno dato trent’anni della loro vita. Non è facile essere posti di fronte a scelte come quella di andare via, dall’oggi al domani, perché per produrre una macchina completamente elettrica ci vuole molto meno tempo e molte meno persone. Lo Stato non ha un piano industriale davvero attento a queste problematiche.