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Una volta i migranti eravamo noi, e lo siamo stati per oltre un secolo, compresi gli anni della migrazione interna alla fine del secondo dopoguerra, dal Sud al Nord del Paese, in cerca di lavoro. Poi è arrivata l’epoca dell’immigrazione, un flusso di persone provenienti dai luoghi e dalle situazioni di vita più diverse, ultimi i circa 5 mila afghani arrivati dopo la presa di Kabul da parte dei talebani. Ma ormai da più di un decennio anche noi siamo tornati a guardare oltre i nostri confini con desiderio e speranza, spinti da un malessere sociale determinato da vari fattori, primo fra tutti quello dell’insicurezza economica, che inevitabilmente porta con sé gli altri.
Su questo fenomeno si concentra il saggio pubblicato da Futura editrice, dal titolo On the road again. Sulla nuova emigrazione italiana (pp. 114, euro 13), curato da Marco Grispigni e Pietro Lunetto (due studiosi entrambi emigrati in Belgio), con la prefazione del professor Enrico Pugliese (autore per lo stesso editore di un illuminante volume dal titolo Quelli che se ne vanno), e i preziosi interventi di Michele Schiavone e Matteo Sanfilippo. Un libro che è il risultato di una ricerca condotta nelle aree significative di quei Paesi europei nei quali si sta concentrando l’emigrazione italiana degli ultimi periodi, con particolare riferimento a Francia, Svizzera, Germania, Belgio, Lussemburgo e Spagna.
Il volume, ricco di dati e statistiche ricavati soprattutto da una serie di lavori scientifici e di ricerca promossi dal Consiglio generale degli italiani all’estero, ci racconta ad esempio che dal biennio 2007-2008, vale a dire da quando è tornato rilevante il flusso di italiani verso altri Paesi, in corrispondenza con la crisi economica che dagli Stati Uniti ha coinvolto il resto del mondo, sono state oltre un milione le persone partite dall’Italia per tentare la fortuna altrove, alla ricerca di migliori condizioni di lavoro e di vita.
Tra le varie informazioni messe a disposizione del lettore, ce n’è una che risalta più d’altre: le principali regioni di provenienza di questa nuova ondata, un universo migratorio prevalentemente giovanile, in ordine numerico sono Lazio, Sicilia, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Emilia Romagna, Lombardia. Una fotografia italiana che conferma le difficoltà in termini di reddito e tassi di occupazione da parte delle nuove generazioni anche in quelle storicamente definite come le regioni tra le più ricche della Penisola.
Gli autori osservano un altro elemento di cui tenere conto, in particolare per il nostro Mezzogiorno, vale a dire lo sviluppo in tappe dei flussi migratori, ragazzi e ragazze che dapprima trovano soluzioni professionali al Centro-Nord, per poi oltrepassare il confine in una seconda fase, rincorrendo proposte di lavoro più allettanti sia da un punto di vista retributivo sia in termini di soddisfazione personale. A questo va aggiunto il sostegno delle famiglie, comunque fondamentale per le scelte dei nuovi migranti italiani.
Sono soltanto alcuni cenni di quanto il libro contiene su questo tema, divenuto negli ultimi anni sempre più delicato e centrale, e che questi lunghi mesi di emergenza sanitaria ha ultimamente complicato. A tal proposito i due curatori inseriscono, prima della postfazione del professor Sanfilippo dedicata a una sintesi aggiornata della migrazione nazionale di oggi, un breve capitolo dal titolo “Pandemia e integrazione”, nel quale vengono analizzati alcuni degli effetti di questa situazione inattesa, e non semplice da affrontare.
Un passaggio di una delle testimonianze raccolte può essere utile a riassumere il tutto: “Ho 31 anni e da meno di un anno vivo quasi clandestinamente all’estero (...) Durante la pandemia, quando ero ancora in Sardegna, facevo lo studente ma la mia seconda occupazione, quella non ufficiale benché a tempo pieno, era la ricerca di lavoro. Ho cercato lavoro senza impegno per anni, ma negli ultimi due l’ho fatto con costanza, quasi con ossessione, e ogni tanto qualcuno mi chiamava, ma il 'choosy' che è in me dubitava di alcune offerte: valeva la pena trasferirsi a Olbia, tagliarsi barba e capelli ed essere pagato 750 euro al mese, senza alloggio offerto, solo per lavorare stagionalmente al duty free dell’aeroporto? Valeva la pena fare l’operatore turistico in Gallura, usando il proprio mezzo (che avrei dovuto chiedere in prestito), senza giorni di riposo, con reperibilità notturna e per 800 euro al mese (cioè 1,50 euro all’ora)? Valeva la pena lavorare come venditore ambulante di granite, in piena estate sul litorale turritano, con un fisso di 15 euro al giorno (se si vendevano minimo 5 granite) e con una provvigione di 0,20 euro per ogni ulteriore granita venduta, per un imprecisato numero di ore al giorno, finché non sarebbe arrivato il padrone in furgone a ritirare il carretto?”.
Una storia italiana. Una storia come tante.