PHOTO
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938 i nazisti scatenano in Germania e nei territori annessi una serie di pogrom contro gli ebrei. È la “notte dei cristalli”, un evento che segna l’inizio della fase più violenta della persecuzione antisemita. Le case, le sinagoghe, i negozi di proprietà degli ebrei vengono saccheggiati e distrutti, centinaia di persone rimangono uccise.
“Il 1938 - scriveva Claudio Vercelli su Patria Indipendente - fu nel suo complesso, per l’ebraismo ma anche per l’Europa ancora libera, un anno tragico, segnando definitivamente la fine delle ultime, residue speranze di un assestamento dell’antisemitismo di Stato dei nazisti su posizioni non troppo estremistiche. Gli ebrei tedeschi, e quelli dei Paesi che sarebbero stati conquistati di lì a non molto dalle truppe tedesche, venivano non solo discriminati ed emarginati ma perseguitati in maniera sempre più aperta e radicale. Quello stesso anno era stato contrassegnato dall’avvio di una lunga politica di espansione territoriale della Germania: l’annessione dell’Austria, l’inizio dello smembramento della Cecoslovacchia, il ripetersi delle pretese naziste su altri territori europei, rivendicati poiché abitati anche da persone di lingua tedesca”.
Anche per l’Italia il 1938 è un anno tragico, l’anno della grande vergogna, l’anno delle "leggi razziali".
“È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti”, candidamente sanciva La difesa della razza, del 5 agosto 1938 (anno I, numero 1) ripubblicando il Manifesto della razza (o Manifesto degli scienziati razzisti) pubblicato su Il Giornale d’Italia il 14 luglio 1938 e dove si leggeva:
Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti. (…) Esiste ormai una pura 'razza italiana'. Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana. (…) È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l’Italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
Dalla definizione di razza alla discriminazione ed espulsione dei cittadini ebrei dalla vita sociale e dal mondo lavorativo e scolastico il passo sarà breve e dalla teoria si passerà ben presto ai fatti in un susseguirsi di provvedimenti sempre più restrittivi della libertà e della dignità delle persone di origine ebraica.
Il Regio decreto legge n. 1728 (Provvedimenti per la Difesa della Razza Italiana) stabilirà nel novembre 1938 il divieto di matrimoni misti tra ebrei e cittadini italiani di razza ariana. Sarà proibito anche prestare servizio militare o come domestici presso famiglie non ebree, possedere aziende con più di 100 dipendenti, essere proprietari di terreni o immobili oltre un certo valore, essere dipendenti di amministrazioni, enti o istituti pubblici, banche di interesse nazionale o imprese private di assicurazione (con la Disciplina dell’esercizio delle professioni da parte di cittadini di razza ebraica del 29 giugno del 1939 verranno imposte limitazioni e divieti anche all’esercizio della professione di giornalista, medico-chirurgo, farmacista, veterinario, ostetrica, avvocato, procuratore, patrocinatore legale, esercente in economia e commercio, ragioniere, ingegnere, architetto, chimico, agronomo, geometra, perito agrario, perito industriale).
“Con le leggi razziali divenni invisibile - tristemente raccontava Liliana Segre - Un giorno di settembre del 1938 sono diventata l’altra. So che quando le mie amiche parlano di me aggiungono sempre “la mia amica ebrea”. E quel giorno a 8 anni non sono più potuta andare a scuola. Ero a tavola con mio papa e i nonni e mi dissero che ero stata espulsa. Chiesi perché, ricordo gli sguardi dei miei, mi risposero perché siamo ebrei, ci sono delle nuove leggi e gli ebrei non possono fare più una serie di cose. Se qualcuno legge a fondo le leggi razziali fasciste, una delle cose più crudeli è stato far sentire invisibili i bambini. Molti miei compagni non si accorsero che il mio banco era vuoto. (…) Ad Auschwitz ero solo il numero 75190. (…) Era una città: era una città del dolore, una città di 60.000 donne che entravano e uscivano tra quelle che andavano a morte e le nuove arrivate. Trentuno ragazze, italiane - non conoscevo nessuna di loro e solo la lingua ci univa in quel momento - entrai con loro e vidi quella serie infinita di baracche, la neve grigia, in fondo una ciminiera che sputava fuoco, intorno il triplo filo spinato elettrificato… E poi le sentinelle, e donne, donne scheletrite, testa rasata, vestite a righe, picchiate, in ginocchio, portavano pesi… «Ma dove siamo entrate?». Era una scena apocalittica. Noi, scese due ore prima da quel treno, ci guardavamo intorno, ma nessuno più ci avrebbe sussurrato: «Tesoro. Amore». «Ma dove siamo arrivate?». «Che cos’è questo posto incredibile?». «Siamo vittime di un incubo, di un’allucinazione… Non può essere che esista un posto di questo genere…». Sì, esisteva (…) Erano stati realizzati questi campi già da tempo, molto ben organizzati, molto ben preparati per far soffrire e morire: quello era il fine”.
Questo era il fine. Riflettiamo su queste parole anche oggi, soprattutto oggi. Un oggi in cui ci tocca assistere a cortei in cui si sfila vestiti come deportati nei lager nazisti, in cui si paragona il green pass alla tessera del Partito fascista, in cui al grido di "libertà" si assaltano le sedi sindacali. Un oggi che non ci piace.