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Proprio oggi, nel centenario della sua nascita, Poste italiane ci comunica che verrà emesso un francobollo commemorativo per ricordare la figura di Franco Basaglia, senza dubbio tra le figure più importanti del Novecento italiano, per aver coniugato il progresso della medicina con i diritti umani, in particolare quelli che hanno a che fare con la salute mentale.
Nato l’11 marzo del 1924 a Venezia, laureatosi in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Padova a 25 anni, Basaglia si specializzò in psichiatria con l’intenzione di sviluppare, come fece, una visione innovativa e rivoluzionaria rispetto al trattamento di pazienti afflitti dalle malattie della mente. Uno studio che dalla teoria si trasformò in pratica, quando nel 1961 assunse la direzione del manicomio di Gorizia, dove si trasferì con tutta la sua famiglia, e che ben presto trasformò da luogo di segregazione e sofferenza in comunità aperta, basando la sua terapia su principi di dignità e rispetto verso le persone in cura.
Dieci anni dopo, nel 1971, divenuto direttore dell’ospedale psichiatrico di Trieste inizia a costruire una vera alternativa ai manicomi, vale a dire i centri di servizio per la salute mentale diffusi in tutto il territorio, ancora oggi attivi nel Friuli Venezia Giulia, di cui però si è persa praticamente ogni traccia nel resto del Paese, in luogo di ambulatori psichiatrici troppo spesso limitati all’intervento temporaneo ma non risolutivo, aperti per qualche ora e non tutti i giorni.
Qui si aprirebbe una questione ben più ampia, e di drammatica attualità, che riguarda la condizione in cui versa il nostro servizio sanitario pubblico, sempre più ridotto ai minimi termini, in un arretramento progressivo che lascia spazio al privato, ai privati, come lo stesso Basaglia affermava nel corso di una sua celebre conferenza del 1979 tenuta in Brasile: “Ci sono cliniche private che vivono sui matti: più matti, più soldi. Così, invece di diminuire, il numero dei malati mentali aumenta, grazie a questi imprenditori della follia”.
L’anno prima, il 13 maggio del 1978, era stata approvata la legge 180 che porta il suo nome, una svolta epocale nella storia della salute mentale in Italia, che portò all’abolizione dei manicomi e favorì la chiusura progressiva delle istituzioni psichiatriche, spostando l’attenzione sull’importanza del trattamento dei disturbi mentali all'interno di una realtà ospedaliera con l’obiettivo di favorire piuttosto l’assistenza domiciliare oltre che la creazione, per l’appunto, di centri di salute mentale.
Poco dopo, trasferitosi a Roma, diviene coordinatore dei servizi psichiatrici della Regione Lazio, prima di ammalarsi e morire nella sua casa di Venezia, il 29 agosto del 1980. A oltre vent’anni dalla sua scomparsa, è stata l'Oms a riconoscere nel suo Rapporto Mondiale sulla Salute Mentale l’attività di Franco Basaglia come “modello fondamentale per l'evoluzione dei sistemi di salute mentale in tutto il mondo”. Un modello di certo all’avanguardia, purtroppo perdutosi nel corso del tempo, e con lui l’esistenza dignitosa di tante vite umane.
Anche perché, come tra gli altri ha scritto e insegna Luigi Pirandello, il confine tra sanità mentale e follia è ancora oggi (e per sempre) talmente sottile, labile e arbitrario, che il tracciarne una linea indelebile potrebbe rivelarsi un imperdonabile e reiterato errore.