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Pubblichiamo un estratto dal volume di A. Frisone, L. Varlese, G. Cereseto, Non è un gioco da ragazze. Femminismo e sindacato: i Coordinamenti donne Flm, Ediesse, 2010.
Nella Federazione lavoratori metalmeccanici, il sindacato unitario dei metallurgici nato nel 1972, sorsero spontaneamente gruppi di donne che, pur ispirandosi a metodi e contenuti femministi, scelsero di proseguire l’attività nell’organizzazione, tentando di modificarne dall’interno assetto e modalità operative. Centro aggregante e motore trainante di questa galassia di raggruppamenti fu il Coordinamento nazionale donne Flm, che nacque nel 1976 su iniziativa di alcune sindacaliste della Federazione e che, sin dal principio, pose al resto della Flm il problema di come rappresentare e rendere protagoniste le donne in un’organizzazione tradizionalmente maschile tentando, al contempo, di modificare radicalmente l’organizzazione stessa. (...)
Per rimuovere e superare questi ostacoli, le sindacaliste ipotizzarono la formazione di un Coordinamento che stimolasse il dibattito, favorisse la partecipazione femminile alla vita della Flm e analizzasse le cause profonde della subordinazione delle donne. Questo organismo, aperto e senza cariche al suo interno, avrebbe dovuto evitare di riproporre il vecchio modello della Commissione femminile, considerata come un ghetto in cui la questione femminile era stata confinata, trascurata e infine abbandonata. All’interno del Coordinamento nazionale, nato nel settembre 1976 e riconosciuto ufficialmente dalla Flm nel marzo 1977, si sviluppò dunque una riflessione sul rapporto tra donna, lavoro e sindacato che si richiamava, in maniera lampante, ad alcuni aspetti della riflessione femminista (il partire da sé, la liberazione, la differenza femminile), e al filone del “femminismo sociale” (orientato verso il coinvolgimento delle grandi masse femminili).
Il Coordinamento organizzò e gestì convegni, seminari, riunioni, corsi per sole donne, stimolando una partecipazione femminile senza precedenti nella storia dei metalmeccanici. Le occasioni d’incontro tra donne permisero inoltre l’avvio del dibattito su alcuni temi specifici, tra cui, anzitutto, il rapporto controverso tra donne e sindacato: le delegate Flm conclusero che il modello del sindacalista era ritagliato sulla figura del maschio e che dunque le donne non potevano rispecchiarsi in quel modello senza rinunciare ad una parte della propria identità femminile. Le sindacaliste chiesero perciò un cambiamento radicale delle modalità di partecipazione alla vita del sindacato, attraverso la modifica degli orari, del linguaggio utilizzato e dei temi affrontati. In questo modo si sarebbe ottenuto un duplice vantaggio: le donne avrebbero evitato l’esclusione dalla gestione politica del sindacato, e gli uomini, ottenendo più tempo per sé e per la famiglia, avrebbero potuto occuparsi con le proprie compagne di quel “fardello domestico” che, in ultima analisi, costituiva il principale ostacolo alla partecipazione politica delle masse femminili. (...)
Il rapporto tra donne, politica e sindacato era infatti condizionato da impedimenti “materiali” gravi quanto quelli “culturali”. Tra di essi, l’impossibilità delle donne di dedicare all’attività politica il proprio tempo, totalmente assorbito dal “doppio lavoro” (domestico ed extradomestico) cui sembravano inesorabilmente destinate. Le cause del duplice fardello riservato alle donne risiedevano sia nella concezione “domestica” e relegata alla sfera privata del soggetto femminile, sia nella totale assenza di servizi a cui delegare la cura della famiglia e dei figli. Per ovviare a queste carenze, il Coordinamento propose con martellante insistenza di incrementare la qualità e la quantità dei servizi, utilizzando ad esempio i fondi messi a disposizione dalle industrie per migliorare le infrastrutture territoriali a vantaggio di tutta la popolazione, in particolare delle donne. Le delegate declinarono dunque al femminile il tema del passaggio “dalla fabbrica al territorio”, elaborato dal sindacato negli anni Sessanta e consistente nel progetto di estendere il raggio d’azione del movimento dei lavoratori a tutta la popolazione e a tutto il territorio.
Questo aspetto della politica e della cultura sindacale si tradusse per il Coordinamento nel tentativo di coinvolgere nella propria attività non solo le lavoratrici, ma anche le casalinghe e le studentesse. L’importante obiettivo fu in parte centrato grazie alla scelta di trattare temi di cruciale importanza come la salute della donna, la sessualità, l’aborto, che presentavano l’indubbio vantaggio di accomunare tutta la popolazione femminile senza distinzioni di età, livello di istruzione, grado di politicizzazione. La sede in cui vennero approfonditi questi argomenti fu quella dei “corsi 150 ore per le donne”, che rappresentavano formidabili occasioni d’incontro, dialogo e formazione di una cultura “altra”, femminile. (...)
Un altro importante tema di cui si occupò a lungo il Coordinamento fu quello della parità uomo/donna: le sindacaliste Flm osservarono che, sino a quel momento, il concetto di parità aveva significato semplicemente l’adeguamento al modello standard del lavoratore maschio adulto o, al contrario, la predisposizione di strumenti di tutela nei confronti di un soggetto femminile considerato più debole. Il Coordinamento, invece, ipotizzò la possibilità di realizzare la parità (sul lavoro, nei rapporti personali, in famiglia) attraverso la valorizzazione delle differenze. Grazie a questo nesso ideologico, le donne Flm realizzarono un’importantissima sintesi tra i due concetti, apparentemente antinomici, di emancipazione e liberazione, specificando che non poteva esservi uguaglianza senza il riconoscimento della differenza. Si trattava di una riflessione originale e coraggiosa, poiché gettava un solido ponte tra la cultura neofemminista, incentrata in Italia sul concetto di differenza, l’associazionismo femminile italiano nato nel secondo dopoguerra, fedele al tema dell’emancipazione, e la cultura operaia e sindacale, basata sull’idea di eguaglianza. (...)
A partire dall’analisi della condizione femminile e dalla ricerca degli strumenti per superare la disparità, il Coordinamento giunse ad immaginare un cambiamento che fosse in grado di investire, oltre al sindacato e alle donne al suo interno, tutta la società. Le rivendicazioni delle lavoratrici, secondo il Coordinamento, potevano infatti costituire il punto di partenza per modificare radicalmente l’organizzazione del lavoro, costruita su un modello standard di lavoratore poco rappresentativo persino degli uomini. Il cambiamento del modo di lavorare, inoltre, avrebbe rivoluzionato l’intera organizzazione della vita, restituendo ad ogni persona la possibilità di riappropriarsi del proprio tempo libero e di una dimensione più “umana” dell’esistenza. Le elaborazioni del Coordinamento nazionale donne Flm furono spesso accompagnate da azioni concrete in fabbrica e sul territorio: manifestazioni, assemblee di sole donne, vertenze aziendali condotte a buon fine, inserimento di punti qualificanti nelle piattaforme contrattuali.
Tuttavia, il Coordinamento incontrò alcuni ostacoli che impedirono la realizzazione di una parte dei suoi progetti. Innanzitutto, la stessa Flm tentò spesso di arginare l’attività delle donne, contestando la legittimità politica di un organismo che non era stato eletto e che non aveva stabilito rigide regole interne di funzionamento. Inoltre, il Coordinamento si scontrò con alcune contraddizioni che ne avevano caratterizzato pensiero ed azione sin dal principio, e che riguardavano la difficile conciliazione tra riflessione femminista e strategia sindacale, tra volontà di cambiamenti politici radicali e necessità di strumenti politici tradizionali, tra la pretesa di voler rappresentare tutte le donne e lo scontro con le differenze tra le donne stesse. Nonostante le aporie del proprio sistema di pensiero, il Coordinamento mantenne in vita una frenetica attività almeno sino al 1979, anno in cui la firma del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici, conclusasi con una parziale sconfitta delle delegate, dimostrò le difficoltà di una traduzione semplice ed immediata delle elaborazioni femministe in risultati politici concreti.
La delusione di fronte alla vicenda contrattuale indusse le sindacaliste a riflettere su limiti ed errori del Coordinamento e a dichiarare ormai necessario un processo di ripensamento delle proprie strutture. Il progetto, tuttavia, si arenò sulle rive della crisi sindacale, politica ed economica che investì l’Italia all’inizio degli anni Ottanta, e che fu tanto profonda da indebolire l’idea stessa di sindacato “di movimento”. Inoltre, lo stesso femminismo attraversò in quegli anni una fase di trasformazione: questa metamorfosi si rivelò un fattore di destabilizzazione per il Coordinamento, che negli anni Settanta aveva giustificato la propria esistenza nel sindacato appellandosi ad un movimento femminista forte, solido ed esteso e che, improvvisamente, vedeva scomparire quell’importante appiglio politico ed ideologico.
Nondimeno, l’attività “culturale” del Coordinamento proseguì con successo e si inserì in una fitta rete di iniziative delle donne per la costruzione di un sapere alternativo e femminista.