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La morte di Federico García Lorca è rimasta fino ad ora circondata da molti dubbi e interrogativi. A cominciare dalla sua data esatta, ancora approssimativa (17-18-19 agosto, data convenzionalmente riconosciuta). Anche il luogo dove giacciono i resti del poeta rimane un mistero, chiare invece, e terribili, sono le ragioni per cui è stato ucciso e probabilmente torturato.
Emilio Silva, presidente dell’Associazione per il Recupero della Memoria Storica che in Spagna lotta perché siano riaperte tutte le fosse comuni ancora intatte dai tempi della guerra e della successiva repressione, è riuscito - nel 2015 - a consultare un documento del comando superiore della Polizia di Granada datato 9 luglio 1965.
Il documento definisce il poeta "socialista e massone", attribuendogli, testualmente, “pratiche di omosessualità, aberrazione che è arrivata ad essere vox populi”. La sua uccisione provocherà riprovazione mondiale e molti intellettuali esprimeranno parole di sdegno. Tra questi l’amico Pablo Neruda che scriverà:
Federico non venne all’appuntamento. Camminava già verso la morte. Non lo vedemmo più. E in questo modo la guerra di Spagna, che cambiò la mia poesia, cominciò per me con la scomparsa di un poeta. Che poeta! Non ho mai visto riuniti come in lui la grazia e il genio, il cuore alato e la cascata cristallina. Federico García Lorca era il folletto dissipatore, l’allegria centrifuga che raccoglieva nel suo seno e irradiava come un pianeta la felicità di vivere. Ingenuo e commediante, cosmico e provinciale, musicista singolare, splendido mimo, pauroso e superstizioso, raggiante e gentile, era una specie di riassunto delle età della Spagna, della fioritura popolare (…) Mi seduceva il gran potere metaforico di García Lorca e mi interessava tutto quanto scriveva. Dal canto suo, mi chiedeva a volte di leggergli le mie ultime poesie e, a metà della lettura, mi interrompeva dicendo: ‘Non andare avanti, non andare avanti, che mi influenzi’. Nel teatro e nel silenzio, fra la folla e nell’intimità, era un moltiplicatore della bellezza. Non vidi mai un uomo che avesse tanta magia tra le mani, non vidi mai un fratello più allegro. Rideva, cantava, musicava, saltava, inventava, faceva scintille. Poveretto, aveva tutti i doni del mondo e come fu un lavoratore d’oro, un fuco d’alveare della grande poesia, era uno sperperatore del suo ingegno (…) Federico García Lorca non fu fucilato; fu assassinato. Naturalmente nessuno poteva pensare che un giorno l’avrebbero ammazzato. Fra tutti i poeti di Spagna era il più amato, il più caro, il più simile ad un bambino per la sua meravigliosa allegria. Chi avrebbe potuto credere che esistessero sulla terra, e sulla sua terra, mostri capaci di un delitto così inspiegabile?
La dittatura di Franco imporrà il bando sulle sue opere, bando in parte rotto nel 1953, quando le Obras completas - pesantemente censurate - verranno fatte pubblicare (i Sonetos del amor oscuro, dalla tematica omosessuale, saranno pubblicati solo a partire dal 1983).
A 120 anni dalla nascita, e a più di ottanta dalla morte per fucilazione, nel 2018 usciva in Spagna un volume contenente 133 sue interviste. Il poeta diceva di detestarle (“Ogni volta che rilascio un'intervista, mi sembra di essere la caricatura di me stesso”), ma ne concedeva molte, spesso accogliendo i giornalisti in pigiama.
“Io sono - diceva in una di queste interviste, probabilmente l’ultima - uno Spagnolo integrale e mi sarebbe impossibile vivere fuori dai miei limiti geografici; però odio chi è Spagnolo per essere Spagnolo e nient’altro, io sono fratello di tutti e trovo esecrando l’uomo che si sacrifica per una idea nazionalista, astratta, per il solo fatto di amare la propria Patria con la benda sugli occhi. Il Cinese buono lo sento più prossimo dello spagnolo malvagio. Canto la Spagna e la sento fino al midollo, ma prima viene che sono uomo del Mondo e fratello di tutti. Per questo non credo alla frontiera politica”.