It’s raining cats and dogs. In inglese si dice così, ma in italiano non tradurremmo mai stanno piovendo cani e gatti”. Marina D’Aversa è una dialoghista, il suo lavoro consiste nello scrivere i testi per il doppiaggio, adattandoli in italiano dalla lingua originaria, in modo che la traduzione non solo sia coerente, ma si possa adattare al movimento delle labbra degli attori, alle espressioni del volto, ai gesti. Molto più che una traduzione dunque, come lei stessa sintetizza argutamente con l’esempio dei gatti e dei cani. Già questo basterebbe a spiegare perché l’intelligenza artificiale non può sostituirsi a quella umana, e dunque a far comprendere il valore enorme dell’accordo da poco raggiunto tra Anica – l’associazione delle industrie cinematografiche – e i sindacati di settore, Slc, Fistel e Uilcom.

L’accordo

Un’intesa che fornisce ancora più concretezza all’articolo 22 del nuovo contratto nazionale del doppiaggio, siglato a dicembre 2023, dopo quasi vent’anni di blocco a condizioni e contesti lavorativi che ormai erano vera e propria archeologia industriale rispetto al mondo del cinema contemporaneo. L’accordo mette dei confini precisi allo “sfruttamento” indiscriminato delle voci, stabilendo che, negli accordi di cessione dei diritti d’autore relativi alle attività di adattatore e dei diritti connessi relativi agli interpreti ed esecutori, dovranno essere esplicitati i divieti di cui all’art. 22, 4 comma del Ccnl. “Abbiamo scritto nero su bianco che è illegittima ogni attività di estrazione di testo e di dati e ogni campionamento – spiega Sabina Di Marco, segretaria nazionale Slc Cgil – finalizzato alla rielaborazione e all’utilizzo in qualsiasi altra forma della voce di ciascun interprete, per addestrare e sviluppare gli algoritmi di intelligenza artificiale”.

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I limiti

Non sarà più possibile, dunque, prendere la voce di un doppiatore e “immagazzinarla” in una banca dati da cui attingere per riutilizzarla in contesti del tutto diversi da quello originario e, soprattutto, all’oscuro dell’interprete stesso. Le voci di doppiatrici e doppiatori di un prodotto audiovisivo potranno essere rielaborate con l’ausilio dell’AI solo per la realizzazione di prodotti secondari (promozionali per esempio) collegati a quello principale. “Abbiamo inoltre istituito una commissione – prosegue Di Marco – che vigili sull’applicazione delle norme. Ora lavoratrici e lavoratori che firmano un contratto non dovranno più farlo accettando qualunque tipo di condizione”.

Intesa storica

“Questa è la prima volta che viene inserita una norma relativa all'intelligenza artificiale in un contratto nazionale – riprende D’Aversa – e un grande merito va riconosciuto alla Slc Cgil che per anni ha seguito con pazienza e abnegazione una trattativa difficile, riuscendo a tenere insieme una categoria di lavoratori che, anche per la natura specifica della professione, non sono molto sindacalizzati”. Il contratto nazionale e l’accordo con Anica hanno fatto da apripista nello scenario delle trattative europee, diventando un punto di riferimento.

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Ladri di voci

Il dibattito internazionale sul tema ferve, e negli ultimi mesi si è fatto molto acceso per quel che riguarda le professionalità del mondo dello spettacolo. L’attrice Scarlett Johansson ha annunciato la sua battaglia contro ChatGPT, che ha campionato una voce molto simile alla sua, nonostante l’attrice avesse declinato la proposta del Ceo Sam Altman di essere assunta come voce ufficiale: “OpenAI ha rubato la mia voce”, ha accusato.

L’intelligenza artificiale è entrata nel settore un po’ in sordina, e all’inizio le sue potenzialità non erano state del tutto comprese, se non da alcuni visionari come il regista Spike Jonze, che nel suo film Her – ironia della sorte la voce protagonista era proprio quella di Scarlett Johansson – dava a un’assistente virtuale il potere di insinuarsi nella vita del suo utilizzatore fino a farlo innamorare di una macchina.

App senza cuore

Ma se fino a qualche anno fa Google Translate e le app di campionamento vocale erano destinate a usi pratici come il navigatore dell’auto o un supporto rapido a chi non conosce le lingue, oggi sempre di più si propongono come strumenti di uso quotidiano nel lavoro creativo, intellettuale ed artistico. “Rappresentano un grosso pericolo per il nostro lavoro – commenta D’Aversa – sia il furto vero e proprio delle voci, sia l’uso di traduzioni che però sono letterali, e quindi sviliscono l’apporto autoriale e interpretativo che siamo in grado di fornire solo noi”.

La lingua, come spiega l’adattatrice, non è solo una questione di parole. È qualcosa che non può prescindere dal contesto, dalla cultura, dai sentimenti, che sono tutti diversi, e bisogna riuscire “a restituire a ogni spettatore, in ogni parte del mondo, la stessa emozione che vive lo spettatore che guarda il film in lingua originaria”.

Questo, Google Translate e Chat GPT ancora non sono in grado di farlo. E speriamo che resti un limite, insuperato e insuperabile, anche per la futura tecnologia.