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Un punto di vista particolarmente fecondo da cui guardare la figura di Enrico Berlinguer è forse quello che mette a fuoco l’attenzione mostrata dal segretario comunista – e dal partito che guida dal ‘72 all’84 – verso le problematiche connesse al governo dell’economia e dello sviluppo, alla democrazia economica, alla democrazia industriale. Espressioni – alcune di queste – forse poco utilizzate dal segretario del Pci, ma che emergono con chiarezza da alcune delle questioni poste e affrontate durante la sua segreteria e che contraddistinguono taluni dei passaggi fondamentali di quest’ultima.
Quest’insieme di questioni rimanda tra l’altro alla peculiarità della prospettiva eurocomunista, intesa come strategia di trasformazione sociale adeguata a Paesi contraddistinti da un capitalismo di tipo avanzato, da una società civile altamente articolata e dinamica, da una dialettica democratica estremamente ricca e vivace, sia all’interno delle istituzioni politiche che nel vivo del corpo sociale.
Il XV congresso e il mercato
Uno dei momenti in cui la visione del governo dell’economia propria della gestione berlingueriana viene sviluppata e sancita ufficialmente è il XV congresso del partito, nei cui documenti viene adottata la formula della “programmazione attraverso il mercato”: espressione da cui traspare la volontà di affrontare il nodo del governo dell’economia rifuggendo impostazioni burocratiche ed eccessi statalistici.
Se da un lato, dunque, si prende atto della necessità del mercato e dell’esigenza di verificare sul mercato stesso l’efficienza e l’economicità delle scelte assunte e delineate in sede di deliberazione politica; dall’altro si riconosce il fatto che il mercato stesso sia una costruzione politica, e che, proprio per questo motivo, sia possibile conformarlo secondo precisi criteri, indirizzandolo verso obiettivi altri rispetto al profitto individuale.
Secondo questa logica, all’efficienza della singola impresa viene contrapposta, o meglio, viene preferita l’efficienza del sistema preso nel suo complesso, tenendo conto cioè delle interdipendenze tra i suoi vari “segmenti” e rifiutando di rapportarsi e guardare alle singole imprese come monadi autosufficienti.
Un modello di pianificazione policentrico
Quello che ne viene fuori è, insomma, un modello di pianificazione che potremmo definire “policentrico”: un modello cioè tale da prevedere non un unico centro programmatore, ma una pluralità di centri decisionali posti in equilibrio fra loro e soggetti a una reciproca influenza.
A determinarsi è così un rapporto dinamico tra piano e mercato, fra Stato e sistema delle imprese, configurato in modo tale da non intaccare il pluralismo economico e sociale. Così facendo, la dialettica piano/mercato viene gestita non attraverso una filosofia e un approccio di tipo burocratico-amministrativo, ma delineando, tramite vincoli e incentivi, un preciso quadro di convenienze, un quadro predeterminato, orientato verso determinate finalità ed entro cui lasciar muovere gli operatori privati.
Potere pubblico e mercato
Al potere pubblico spetta il compito di tracciare le direttrici dello sviluppo, trasformando i grandi bisogni di massa in domanda effettiva sul mercato; al mercato – un mercato comunque “liberato” dalle distorsioni provocate dai grandi gruppi monopolistici e dalla subordinazione a interessi privatistici che la loro azione produce, un mercato “riformato”, portatore di una razionalità alternativa a quella della “forma del valore” – viene affidato il compito di misuratore dell’equilibrio fra costi e ricavi di cui ciascuna impresa, pubblica o privata che sia, deve tener conto.
I 35 giorni della Fiat
Una filosofia e un approccio che ispireranno sia il ragionamento berlingueriano intorno all’idea di “austerità”, ma che è visibile e rintracciabile anche nell’atteggiamento fatto proprio da Berlinguer a proposito dei “35 giorni” alla Fiat di Torino, evento da lui ritenuto esemplificativo delle dinamiche proprie del nascente ciclo neoliberale.
Come avrà infatti modo di ribadire in occasione della Conferenza operaia comunista del 1982, di fronte all’idea che le ristrutturazioni in corso e le innovazioni tecnologiche debbano essere guidate dalla sola logica di mercato, un mercato che in quegli anni dal pensiero neoliberista di derivazione hayekiana torna a essere visto come spontaneo, naturale e “neutrale”, Berlinguer pone la questione di un intervento attivo delle classe operaia e dei lavoratori impiegati sul senso di queste ristrutturazioni industriali, sulla loro direzione, sulla loro finalità.
Nel quadro dell’ipotesi anti-burocratica della “programmazione attraverso il mercato”, un ruolo centrale in quest’azione di conformazione del mercato e dell’attività imprenditoriale è svolto, dal basso, proprio dai consigli di fabbrica e da tutte le forme di potere democratico sui luoghi di lavoro.
Democrazia economia e democrazia industriale
Ne emerge dunque l’idea di un governo dell’economia e di una programmazione tali da poggiare e da articolarsi a partire dalle forme di intervento diretto dei lavoratori sul processo produttivo, dalle forme di democrazia industriale. Alla base di questa idea risiede una convinzione condivisa dal Pci di Berlinguer, a cui corrisponde una precisa concezione della trasformazione sociale. Ossia, la convinzione che attraverso questo doppio movimento (“dall’alto” e “dal basso”, “statale” e “sociale”) di intervento e di governo delle dinamiche economiche, attraverso l’immissione nel circuito sotteso al processo di circolazione e valorizzazione capitalistica di “soggetti e finalità antagonistiche alla pura logica di mercato”, fosse possibile non solo “sottrarre spazio al calcolo puramente economico”, ma soprattutto “reagire alla condizione di merce della forza lavoro e agli effetti negativi […] della gestione privata dell’accumulazione” (P. Barcellona, M. Carrieri, Governo dell’economia e controllo operaio nelle strategie della sinistra europea, Democrazia e diritto, 1982, n. 4, p. 5.).
Democrazia economica e democrazia industriale rappresentano dunque alcuni degli elementi centrali e fondanti la “terza via” e il nuovo socialismo intravisto e immaginato in quegli anni da Berlinguer. Una terza via che va però considerata non come un modello chiuso e già definito, ma come un campo di ricerca che la sinistra è ancora oggi chiamata a battere.
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