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Quella di Diamela Eltit (Santiago, 1949), cilena di origini palestinesi, è una tra le più importanti voci narrative del panorama latinoamericano contemporaneo. La forza della sua proposta letteraria, la coerenza del suo universo narrativo e performativo, l’acuta critica al neoliberalismo e al regime dittatoriale di Pinochet, rendono la sua vasta produzione, narrativa e saggistica, un riferimento fondamentale per riflettere sul mondo contemporaneo.
Tre delle sue opere (Lumpérica, 1983; El cuarto mundo, 1988; Los vigilantes, 1994) sono state inserite nella lista dei 100 migliori romanzi in lingua spagnola degli ultimi 25 anni, dall’autorevole rivista colombiana Semana. Il suo ultimo romanzo, Sumar (2018), è stato insignito del Premio de Narrativa José María Arguedas, dalla prestigiosa istituzione culturale cubana Casa de las Américas. Nel 2018 è stata insignita del Premio nazionale di letteratura. I suoi lavori sono stati tradotti in inglese, francese, finlandese, portoghese, italiano e greco.
Laureata in Lingua spagnola all'Università del Cile e specializzata in Letteratura, Diamela Eltit inizia la sua carriera insegnando presso vari istituti. Dal 1991 al 1994 lavora in Messico come addetta culturale e nel frattempo collabora con diverse riviste, in particolare con Crítica Cultural.
Rientrata in Cile, diventa docente della Universidad Tecnológica Metropolitana, oltre a essere visiting professor in prestigiose università come la Columbia, la Brown University, la Washington University di St. Louis, la John Hopkins, la Berkley e la Stanford. Dal 2008 scrive di cultura e politica per il settimanale cileno The Clinic. Attualmente insegna alla New York University.
Ai tempi dell'università, nel 1979, fonda insieme al poeta Raúl Zurita, al sociologo Fernando Balcells e agli artisti visivi Lotty Rosenfeld e Juan Castillo, il CADA (Colectivo de Acciones de Arte), un movimento artistico di resistenza al regime, rimasto attivo fino agli anni 1983-85. Il gruppo aveva l'obiettivo di diffondere arte e, più in generale, ricreare circuiti artistici nei quartieri di Santiago e presso Istituti d'arte durante il regime autoritario instaurato da Pinochet con il golpe del 1973.
Proprio in questi anni difficili esordisce come scrittrice: nel 1980 pubblica la raccolta di saggi Una milla de cruces sobre el pavimento e nel 1983 il romanzo Lumpérica, a cui seguono Por la patria e El cuarto mundo.
Inserita a pieno nel dibattito culturale cileno, l’autrice si dedica alla riflessione sociale, politica e identitaria del suo paese. ln particolare, la Eltit pone l'attenzione su temi d’attualità come le questioni di genere e la marginalità sociale, contribuendo con un punto di vista innovativo al dibattito politico e sociale cileno, tenendo alta l'attenzione sul lavoro delle donne, i diritti, gli abusi di potere e le discriminazioni.
La scrittura letteraria diventa quindi ulteriore testimonianza e affermazione del proprio sentire e della propria identità. L’attenzione verso queste tematiche è costante, nella vita e nei suoi romanzi. Ancora oggi Eltit è promotrice di un'educazione non sessista e non patriarcale, soprattutto all'interno delle istituzioni e nel mondo del lavoro in genere, promuovendo il dialogo e la cultura della non violenza.
La riflessione sulla società liberale e sul mondo del lavoro prosegue anche negli anni Duemila, periodo in cui concentra la sua attenzione – e la sua produzione letteraria – sulle pratiche economiche del neoliberismo, la precarietà, lo sfruttamento della manodopera, gli effetti del capitalismo e della globalizzazione, la compulsione al consumo, il libero mercato e i suoi paradossi.
Queste tematiche sono trattate in tutti i testi della sua seconda produzione, in particolare in Mano de obra, pubblicato nel 2002 da Seix Barral. In Manodopera la Eltit racconta il proletariato e gli aspetti più estremi del capitalismo attraverso i dipendenti di un supermercato, costretti a lavorare in un ciclo ininterrotto di produzione-organizzazione-vendita della merce, ponendo l'accento su tematiche particolarmente delicate come: sfruttamento, licenziamenti, salari, molestie sul lavoro, oppressione. La sua attenzione per gli spazi chiusi, approfonditi anche in altri romanzi, è evidente anche nell’ambientazione di Manodopera: i dipendenti del supermercato – come fossero i protagonisti di un reality - vivono nella stessa abitazione e lavorano nel medesimo supermercato, un microcosmo governato da un circolo vizioso che porta sofferenze e rancori, fino alla perdita della memoria e dell'ideologia.
Nella prima parte del romanzo vi è un monologo che si potrebbe definire onirico: il narratore è un dipendente completamente assorbito dallo spazio di lavoro. La voce narrante si fonde con lo spazio circostante e il lettore non sarà altro che spettatore di una quotidianità fatta di alienazione, rassegnazione e sottomissione alle logiche di mercato. Anche gli altri protagonisti di questa prima parte – figure non individuabili, senza corpo e senza nome – devono sottostare a queste logiche. Nella seconda parte l’identità individuale diventa collettiva e la narrazione è suddivisa in episodi i cui protagonisti questa volta sono identificabili: hanno un nome e un ruolo all’interno della società e della casa in cui vivono.