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Quando qualche giorno fa Gaetano Sateriale dopo avermi mandato il suo ultimo libro mi ha whatsappato per chiedermi se mi andasse di scrivere una recensione, non ci ho pensato due volte e ho risposto subito sì. Ma un retropensiero subito dopo ha cominciato a girarmi nella testa. Così, pur avendo abbastanza tempo per scrivere, ho cominciato subito a leggere Profondo lago (Futura editrice, pp. 320, euro 20) perché sapevo che, se non mi fosse piaciuto, non sarei riuscito a buttar giù nulla di passabile; e dunque la lettura anticipata mi avrebbe consentito di fare marcia indietro senza troppi sensi di colpa, visto che ci sarebbe stato tempo per trovare qualcun altro al mio posto… Così, se siete arrivati fino a qui – cosa di cui vi ringrazio –, avrete già capito che il libro di Gaetano mi è piaciuto. E non poco, aggiungo subito. Proverò a spiegarne il perché.
Profondo lago è un romanzo che inizia dove finiva Dai banchi e dalle officine (Ediesse/Futura, 2018), la fatica precedente di Gaetano. Se in quello si raccontava una vicenda della fine degli anni 70, questo è un romanzo che racconta, come in un memoir, una storia vera, personale e collettiva, quella delle ristrutturazioni alla Montedison di Ferrara all’inizio degli anni 80, e lo fa con l’accuratezza e la densità di un saggio.
Nel corso di una notte alla fonda in un’isola dell’Egeo, il protagonista racconta a chi è in barca con lui (niente spoiler) la storia, lunga cinque anni, di quella vertenza. E insieme ricostruisce nel dettaglio un’esperienza, quella del sindacato dei chimici di Ferrara e del consiglio di fabbrica dello stabilimento Montedison. Dei rapporti con le categorie nazionali, di quelli assai più complicati con i sindacati orizzontali (per non parlare di quelli con le istituzioni e i partiti di riferimento…). Una storia di vittorie (poche) e di sconfitte (più numerose), una storia nella quale l’azienda dimezzò l’organico, una storia raccontata in modo sapiente. Si parte da una vittoria, quella con l’accordo aziendale del 1983, per fare poi un passo indietro e raccontare le sconfitte dei due anni precedenti, per arrivare infine al 1984 e a quello che successe dopo l’accordo di San Valentino, quando si sfasciò quello che restava della Federazione unitaria. Poi l’inaspettato lieto fine.
Ma raccontare quella storia è anche l’occasione per il narratore (e soprattutto per l’autore) per ragionare su cosa voglia dire fare sindacato. E insieme l’occasione per riflettere (e far riflettere) su questo lavoro che non è un lavoro normale ma è molto più di un lavoro normale, se vissuto come lo vive gran parte dei sindacalisti (almeno quelli che ho conosciuto io). Su come si imposta una vertenza e poi una trattativa, su come la si conduce, su come si coinvolgono i lavoratori, sull’importanza delle lotte ma anche della capacità di saper chiudere un accordo. Da questo punto di vista è un libro che a parer mio sarebbe assai utile, più di tanti testi teorici di formazione, per tutti i giovani che iniziano a impegnarsi nei posti di lavoro e nel sindacato. Il tutto condito da aneddoti, ritratti, retroscena che ravvivano la lettura e la rendono ancora più interessante. Sicuramente per me, che proprio all’inizio degli anni 80 iniziavo il mio lavoro nella Cgil, a Rassegna Sindacale, ma credo per tutti. E in questo conta molto la buona penna di Gaetano, il suo saper scavare nelle persone, il suo cogliere il cuore dei problemi, il modo in cui riesce a trasportarti lì dove avviene ciò che sta narrando.
Mi sia consentito chiudere con un ricordo personale, proprio a proposito dell’accordo di San Valentino. Chi non c’è stato non ha idea del clima che c’era in quei giorni a Corso d’Italia, delle accuse e controaccuse, con la Casa della Sinistra che sembrava davvero sul punto di implodere per le divisioni al suo interno. Ebbene, dopo la rottura, a Rassegna Sindacale il direttore Francesco Cuozzo decise di pubblicare una specie di tavola rotonda in cui Cgil (un membro della componente comunista e uno della componente socialista), Cisl e Uil ricostruivano la storia delle ultime settimane e ragionavano sul possibile futuro (ho scritto “una specie” perché non riuscimmo a mettere tutti intorno a un tavolo – sarebbe stato troppo).
Una decisione estremamente “laica”, se volete, in cui ognuno disse quello che pensava, senza censure o autocensure. Un servizio, quello che realizzammo Luisa Benedettini e il sottoscritto sentendo Giacinto Militello, Fausto Vigevani, Mario Colombo e Silvano Veronese – e non fu un lavoro facilissimo –, molto poco insomma da giornale di organizzazione. Certo, pesava il fatto che la Cgil fosse divisa al suo interno. Ma pesava anche una tensione unitaria che, seppure spesso quasi solo formale, ancora c’era. C’era soprattutto in Luciano Lama, che evidentemente diede il suo placet a Cuozzo per il servizio, e che in quei giorni ebbe più volte a dire: «Oggi ci dividiamo ma dobbiamo lavorare da subito per costruire una nuova unità».
Leggendo Profondo Lago scopro oggi che allora la Fulc di Ferrara scelse di andare avanti unitariamente in quei giorni di “follia nazionale”, come la definisce Gaetano. E lo stesso fece il Consiglio di fabbrica della Montedison. E che questo comportò rotture anche personali con i dirigenti della Camera del lavoro. Ma fu anche grazie all’unità mantenuta, che l’anno dopo si riuscì a raggiungere nella grande fabbrica un nuovo importante accordo sull’organizzazione del lavoro coinvolgendo anche la Regione, in un’abbastanza inedita intesa a tre che comportò anche, per la prima volta dopo tanto tempo, nuove assunzioni.