PHOTO
Pubblicato per la prima volta nel 1980, Lavoro e salute mentale (pp. 288, euro 22) viene ora proposto in Italia dall’editore DeriveApprodi nella collana “Infedeli”, diretta da Francesca Coin.
A quarant’anni di distanza, la ripubblicazione di questo testo di Cristophe Dejours mette in luce l’importanza di un tema affrontato nel corso del tempo a intermittenza, in virtù di un’attenzione che sale o scende in base agli eventi, sia politici che sociali, e legati agli infortuni o i drammi che accadono nel mondo del lavoro, di carattere fisico e psichico.
In particolare, il libro evidenzia la mancanza di volontà da parte delle imprese e delle istituzioni di cambiare l’ordine delle cose, come dimostra la ricerca portata avanti dall’autore, progressivamente aggiornata nel tempo, anticipando sin dalla fine del secolo scorso quelle che sarebbero state le disastrose conseguenze del mondo del lavoro nell’era dell’ipercapitalismo neoliberista, sempre più caratterizzato da patologie legate all’universo tecnologico, nuovi schiavi non più sottomessi ancora alla dittatura di campi da coltivare, ma a quella di un pc o di uno smartphone con cui si è costretti a passare gran parte della giornata, quando basta.
In questo quadro, le nuove forme di organizzazione del lavoro vanno a incidere nel rapporto tra la persona e la sua professione, mettendo a rischio i diritti fondamentali degli stessi lavoratori, conquistati nelle battaglie sociali che hanno caratterizzato gran parte del Novecento. Per questo l’aggravamento delle patologie mentali e la situazione psicologica di chi si sente di aver dedicato la propria vita al lavoro rappresentano “una spia d’allarme”, viene scritto, che dovrebbe avvisarci come la società si stia muovendo in direzione di una sorta di “decadenza postmoderna”.
Dopo l’introduzione di Francesca Coin, e le prefazioni dell’autore alle edizioni precedenti (1993, 2000, 2008, 2015), il libro si suddivide in quattro parti, dove vengono analizzati temi tra cui i meccanismi di difesa per il lavoro cosiddetto ripetitivo, che ci riporta ai Tempi Moderni di chapliniana memoria; il rapporto tra lavoro e paura, e le diverse forme in cui questa paura può essere declinata; lo sfruttamento della frustrazione che ne deriva dalla paura stessa.
Da qui un capitolo riservato alla metodologia nella psicopatologia del lavoro, a cui segue il passaggio dalla psicopatologia alla psicodinamica del lavoro stesso, sino alle nuove forme di organizzazione, dalle quali possono scaturirsi “sofferenza psichica e indebolimento somatico”. Le conclusioni vengono affidate alla riflessione sulle varie cause che intercorrono tra sofferenza fisica, psichica e morale.
Nel complesso il volume riesce a offrire al suo lettore un quadro completo di quasi mezzo secolo nello sviluppo e l’involuzione, a seconda delle circostanze, della storia del lavoro e del suo rapporto con la salute, in particolare mentale, del lavoratore, notevolmente peggiorata negli ultimi anni non soltanto per colpa del burnout, ma per una generale condizione determinata dalla “destrutturazione della solidarietà interna ai luoghi di lavoro, tipica della produzione snella”, e di un capitalismo impazzito, soffocato e soffocante, che in nome di una produzione sempre più compressa mette a rischio la vita stessa dei suoi dipendenti.