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Il ruolo delle relazioni industriali e quello del sindacato non è garantito una volta per tutte perché gli assetti delle istituzioni delle democrazie liberali generalmente si reggono sul presupposto che funzionino contemporaneamente la democrazia politica e le relazioni pluraliste fra i gruppi organizzati, portatori degli interessi funzionali. Quello che preoccupa da alcuni anni è la tendenza di non pochi settori politici ad essere disposti, appena possibile, a comprimere, o a ridimensionare il ruolo delle organizzazioni sindacali e la loro pratica della regolazione collettiva. In questo modo mortificando le prerogative della rappresentanza sindacale, che non è necessariamente sempre riconducibile alle esigenze del sistema politico. I governi italiani degli ultimi anni non hanno tardato a muoversi in questa direzione di ridimensionamento.
Non vi è dubbio che il sindacato è probabilmente l’attore collettivo sul quale con maggiore potenza emblematica si scaricano in questi anni gli effetti congiunti delle trasformazioni in atto, mentre sugli altri attori del sistema democratico e della rappresentanza politica (le istituzioni parlamentari, i partiti) i fattori di crisi sembrano non avere conseguenze dirette tenuto conto che l’intreccio fra l’innovazione dei modelli della produzione economica e la sfera regolativa dei diritti ricade direttamente sui rappresentati dal sindacato. Le tradizionali peculiarità teoriche e pratiche attribuite alla rappresentanza economico-sociale degli interessi, rispetto a quella politica, si ripercuotono in una declinazione relativamente autonoma dei paradigmi di crisi e della loro rilevazione sintomatica.
Nessuna della proprietà che si è soliti imputare all’esercizio tipico della rappresentanza sindacale si può dire esca oggi indenne dai mutamenti oggettivi e soggettivi in atto, sia che si tratti della sfera della rappresentatività sociale, di quella negoziale oppure di quella politica. Si può arrestare l’avanzare di questa fase che emana preoccupanti segnali di esclusione dei sindacati e dare nuovamente importanza al ruolo svolto dalle relazioni pluraliste per il consolidamento delle democrazie? È compito del sindacato confederale italiano, come soggetto che per sua natura è più sensibile a tali finalità di consolidamento, far fronte ad una strada obbligata: l’unità d’azione (specie per quanto attiene alle regole da attuare per la predisposizione delle piattaforme, la conduzione delle trattative, l’approvazione degli accordi e dei contratti).
Se si tenesse nel debito conto anche l’innovazione contrattuale, per meglio rispondere non solo alle esigenze di rappresentanza del lavoro, ma anche a quelle di motivazione del lavoro stesso e di rispetto degli obiettivi di competitività delle imprese, le relazioni industriali si arricchirebbero di condizioni vantaggiose per entrambe le parti. Con questi presupposti sono inevitabili alcuni interrogativi sul futuro dei sindacati, partendo dal dato che bisogna andare molto al di là di quello che in Italia può apparire connesso al ricambio nelle maggioranze di governo e, dunque, al rapporto con la rappresentanza politica. Gli interrogativi che ci si pongono investono questioni di fondo sulla utilità della rappresentanza collettiva degli interessi dei lavoratori, ovvero se esista ancora uno spazio significativo per questa rappresentanza e per la conseguente azione collettiva. Una disamina del rapporto tra rappresentanza politica e sindacale ci induce a ragionare seguendo percorsi diversi da quelli tradizionali.
Partiamo dalla considerazione che negli ultimi trent’anni i sindacati sono stati ritenuti più forti e capaci di svolgere scelte determinanti per lo sviluppo economico dei paesi dove operavano. Per questa via sono stati in grado di ottenere sia vantaggi per i propri rappresentati che legittimazione sociale. Aver dato questo contributo positivo ha significato svolgere funzioni utili per il sistema delle imprese e per il governo dell’economia, conseguendo anche «risultati di progresso», cioè beni semi-pubblici che tendenzialmente avvantaggiano tutta la comunità e che quindi danno loro legittimazione sociale4. Avere scelto nel passato la strada di far conciliare la tutela degli interessi dei lavoratori con lo svolgimento di funzioni capaci di sviluppare buone politiche pubbliche ha fatto acquisire ai sindacati una capacità di influenza. Questa scelta non sempre è stata apprezzata dagli imprenditori, ritenendo anomalo il contributo positivo allo sviluppo dato dalle organizzazioni sindacali; in alcuni casi tale contributo è stato giudicato dalle imprese come una fonte di vincolo alla propria libertà d’azione nell’organizzare la produzione.
Generalmente le imprese riconoscono i sindacati e accettano di trattare con loro solo quando vi sono costrette. Per questo, paradossalmente, i sindacati sono di solito costretti a imporre alle controparti la loro presenza, anche quando questa produce effetti benefici per il sistema economico. Un vincolo per la rappresentanza sindacale è quello di dover decidere se fornire un contributo positivo allo sviluppo (dovendo convincere le controparti a considerare i sindacati come una risorsa) o privilegiare l’esigenza di dare risposte alle domande più immediate della propria base. L’efficacia della rappresentanza sindacale passa anche dalla loro capacità di svolgere funzioni positive per l’economia dimostrando di saper mettere in atto una strategia consapevole e determinata e non disposta ad accettare passivamente l’iniziativa delle controparti.
Con questo tipo di strategia i sindacati hanno successo e riescono anche a esercitare influenza sulle scelte delle istituzioni pubbliche, mantenendo una propria capacità di rappresentanza. Sono ancora valide queste funzioni cruciali dei sindacati per il sistema delle imprese e per il governo dell’economia? Nella misura in cui le svolgono queste funzioni consolidano nel tempo la propria forza? La risposta più ovvia a questi quesiti vede nella cooperazione della forza lavoro nel processo produttivo la soluzione ottimale in quanto per le imprese diviene un’esigenza cruciale perché consente il funzionamento di sistemi organizzativi che hanno bisogno del contributo attivo dei lavoratori al loro continuo miglioramento.
È una cooperazione, tra l’altro, indispensabile per ottenere quella flessibilità che è precondizione del riaggiustamento e della competitività delle imprese. Naturalmente richiede una fiducia reciproca, ovvero comprende l’aspettativa di un comportamento cooperativo da entrambe le parti, soprattutto laddove vi sia l’assenza di un contesto sociale o istituzionale che sostenga tale fiducia6 . Molte imprese europee negli anni ottanta e novanta hanno considerato non conveniente un isolamento dei sindacati, non tanto o non solo perché capaci di frapporre resistenza, quanto per la capacità di contribuire allo sviluppo economico. L’alleanza con i sindacati in genere risulta particolarmente vantaggiosa per le imprese durante i periodi di profonda ristrutturazione, quando sono particolarmente vulnerabili e bisognose di legittimazione sociale, o addirittura di appoggio nei confronti delle pubbliche istituzioni a cui chiedono sostegno finanziario, e nei confronti dei lavoratori «eccedenti» su cui gravano i costi del riaggiustamento.
L’influenza dei sindacati e la loro rappresentanza li induce all’esercizio di funzioni utili per le istituzioni pubbliche e, quindi, entra in relazione con la rappresentanza politica. Non vi è dubbio che il ruolo dei sindacati, come di altre istituzioni di regolazione del mercato del lavoro, è tale che le politiche sociali e del lavoro dovrebbero mirare a contenere il ruolo puramente distributivo, protettivo e vincolistico di quelle istituzioni, ma al tempo stesso a rafforzarne e valorizzarne le funzioni di supporto alla produzione e alla competitività dell’economia. La valorizzazione di questo tipo di ruolo dei sindacati trova la sua espressione nelle politiche di concertazione, ovvero attraverso una delega di funzioni pubbliche alle associazioni degli interessi (e in particolare ai sindacati), in un quadro di politiche regolative anziché ridistribuite.
La rappresentanza sindacale, quindi, deve privilegiare la ricerca di patti o di forme di concertazione, nelle quali la capacità di rappresentanza generale è la condizione della possibilità di influire sulle politiche pubbliche, e la capacità di influenza è a sua volta condizione della «tenuta» della rappresentanza anche di fasce del mondo del lavoro altrimenti indotte a fare a meno dell’azione collettiva.