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Claudio Sabattini nasce a Bologna il 28 aprile del 1938 da Arduino e Aurora Bonaveri. Il padre partecipa alla lotta partigiana come gappista insieme allo zio paterno (tra i fondatori del Pci a Bologna). La zia Nerina è una staffetta. Claudio frequenta il liceo classico e si laurea con una tesi sul pensiero di Rosa Luxemburg. Giovane militante della Fgci prima, del Pci poi, nel 1967 entra nell’apparato della Camera del lavoro di Bologna.
“Nel 1970 - recitano le note biografiche a lui dedicate dalla Fondazione che porta il suo nome - Claudio diventa segretario generale della Fiom di Bologna che si caratterizza per l’iniziativa sindacale e contrattuale su cottimo, ambiente e democrazia. Sono parte integrante di questa esperienza la ricerca, l’analisi e la pratica contrattuale sulle piccole medie imprese e sul decentramento, il rapporto lavoro-studio e le 150 ore, le richieste del contributo dell’1% da parte delle imprese per contribuire al finanziamento dei servizi sociali. Nel ’74 nasce il figlio Simone con il quale si determina un rapporto profondo. Nello stesso anno viene eletto segretario generale della Fiom di Brescia, un’esperienza importante di direzione e fondamentale per Claudio in particolare in quanto instaura un rapporto con i lavoratori della siderurgia. In questo periodo è a Brescia quando nel corso di una manifestazione avviene l’attentato terroristico a Piazza della Loggia che provoca una strage”.
Eletto nel 1977 nella segreteria nazionale della Fiom (nel 1989 passa alla segreteria regionale Cgil del Piemonte di cui diventa segretario generale nel 1991), nel 1994 è nominato segretario generale nazionale della Federazione dei metalmeccanici.
Nel maggio del 2002 ne lascia la direzione affermando: “Se non ci si identifica seriamente con la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici, se non li si ama, non si può fare il sindacalista, non è possibile”.
“Io credo - diceva a Portella della Ginestra il Primo Maggio 2001 - che a quei giovani che oggi entrano nelle fabbriche - soprattutto quelle ad alto contenuto tecnologico - e che pensano che l’unica loro possibilità sia quella di identificarsi con l’impresa, bisogna dire che la loro solitudine, che la loro incapacità di vedere il futuro ma di «vivere in un eterno presente», possono essere superate da un fatto elementare che però è sempre stato combattuto con una durezza infinita: mettersi insieme, lottare insieme. Questo fatto elementare che nel ‘900 si è chiamato sindacato - e che continuerà a chiamarsi così - è il primo tentativo di dare sicurezza a tutti coloro che sono costretti alla solitudine, che sono costretti alla competizione con gli altri, che sono costretti a pensare a un eterno presente”.