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“Ci divideva l’età - raccontava Francesco Guccini di Claudio Lolli - lui aveva almeno dieci anni meno, lo consideravo di un’altra generazione e forse per questo non siamo mai diventati veramente amici. Ma ci conoscevamo bene, Ci siamo incontrati grazie a mio fratello, che una sera, erano i primi anni 70, ha portato questo ragazzo, dall’aria ribelle e molto di sinistra, giù nello scantinato dell’Osteria delle Dame, che allora per me era la seconda casa. E fui io, impressionato dalle sue qualità artistiche, a metterlo in contatto con la EMI, che poi divenne la sua casa discografica Quindi, mi sento il responsabile dei primi passi della sua carriera”.
Sarà in effetti proprio Guccini a portarlo alla Emi Italiana, l’etichetta che gli farà firmare il suo primo contratto e che pubblicherà, dal 1972 al 1976 (anno de Ho visto anche degli zingari felici), i suoi primi 4 Lp.
Artista simbolo della canzone militante degli anni ’70, Claudio Lolli scriverà sempre di temi fortemente legati all’attualità, descrivendo tra le altre cose lo stragismo e gli attentati, come quello del treno Italicus, la strage alla stazione di Bologna.
“Ero lì, il 9 agosto in piazza Maggiore - racconterà - il giorno dei funerali: quelle dieci bare in fila, impossibile dimenticare. Avevo 25 anni, tanta rabbia e anche un sentimento di impotenza, che però non doveva diventare sconfitta. Ai funerali dell’Italicus mi sembrava già un punto di non ritorno, insopportabile, insostenibile. Poi la strage alla stazione (di Bologna ndr) ha fatto correre ancora di più la lepre pazza (Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza… E fu il giorno dello stupore e fu il giorno dell’impotenza, si sentiva battere il cuore, di Leone avrei fatto senza, si sentiva qualcuno urlare “solo fischi per quei maiali, siamo stanchi di ritrovarci solamente a dei funerali”. Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza… Ci passarono le bandiere un torrente di confusioni in cui sentivo che rinasceva l’energia dei miei giorni buoni, ed eravamo davvero tanti, eravamo davvero forti, una sola contraddizione: quella fila, quei dieci morti). Io ero a casa, in via Indipendenza. Sentii lo scoppio, ricordo le parole di Vespa: una fuga di gas. Partii col mio gruppo nel pomeriggio per un concerto in Trentino, mi resi conto solo tempo dopo cosa davvero era successo”.
“Il 'lollismo' - scriveva Angelo Ferracuti - come lo chiamavamo noi ragazzi degli anni ’70, non era solo una infatuazione musicale ma una vera e propria condizione dello spirito. Le tenerezze liriche e rivoluzionarie di una generazione che voleva la luna e ha rischiato, pagando dolorosamente sulla propria pelle, le successive cadute dei suoi angeli ribelli (…) Le canzoni di Claudio Lolli sono state la colonna sonora dell’essere al mondo di Quelli come noi - da Aspettando Godot del 1972 fino all’ultimo Il grande freddo, uscito nel 2018, pochi mesi prima della morte - tanto per citare una delle sue più belle, il manifesto musicale di chi aveva immaginato, anzi viveva al presente, un mondo nuovo di rapporti liberato dall’ipocrisia, dalle nevrosi e dai miti consumistici e sadomasochistici del potere”.
“Bisogna raccontare delle storie - diceva il poeta in una intervista - Difficilmente riesco a spiegarmi quello che sta succedendo con gli strumenti della razionalità ma probabilmente il cuore è già oltre l’ostacolo. E allora ciò che riesce almeno a intravederlo da lontano è il gioco della parola. Le storie nella loro libertà fantastica sono sempre un po’ più avanti”.
“Agosto - cantava - Improvviso si sente un odore di brace. Qualcosa che brucia nel sangue e non ti lascia in pace, un pugno di rabbia che ha il suono tremendo di un vecchio boato: qualcosa che urla, che esplode, qualcosa che crolla, un treno è saltato.
Agosto. Che caldo, che fumo, che odore di brace. Non ci vuole molto a capire che è stata una strage, non ci vuole molto a capire che niente, niente è cambiato da quel quarto piano in questura, da quella finestra. Un treno è saltato.
Agosto. Si muore di caldo e di sudore. Si muore anche di guerra non certo d’amore, si muore di bombe, si muore di stragi più o meno di Stato, si muore, si crolla, si esplode, si piange, si urla. Un treno è saltato”.
E proprio in una calda giornata di agosto Claudio si spegne a 68 anni, dopo una malattia. “La musica - raccontava - mi ha salvato la vita dalla banalità (…) È la felicità a cui dobbiamo tutti puntare. Fa ancora scandalo la felicità, soprattutto quella di un soggetto a cui è facile addossare tutti i mali”.