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Il colpo di scena era arrivato sabato 9 maggio, con un documento del Comitato Tecnico Scientifico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che indica come possibile data per la ripresa di spettacoli dal vivo e concerti la prima settimana di giugno. Un bel colpo sull’acceleratore, rispetto a una prospettiva che per questi settori risultava tra le più incerte, con ipotesi di ripresa anche dopo l’estate. Sul tema delle possibili riaperture, ieri il Ministro dei Beni culturali Franceschini ha incontrato, insieme ai rappresentanti della Conferenza delle Regioni, le associazioni delle imprese culturali, Agis, Federvivo e Anfols. Alla riunione, però, non erano presenti né il sindacato, né i lavoratori, la cui rabbia non si è fatta attendere.
“Quanta conoscenza ha il Comitato Tecnico Scientifico della reale natura del nostro lavoro – chiede la rete Attrici Attori Uniti in un comunicato, vista l'assurda pretesa di farci utilizzare dpi per svolgere le nostre professioni?”. Tra le condizioni per tornare in scena previste dal documento, infatti, c’è di assicurare e rispettare i “criteri di distanziamento e di protezione mediante mascherine per tutti”. Lo stesso criterio dovrà “essere applicato agli spettatori come agli artisti, alle maestranze e ogni altro tipo di lavoratore presente nel luogo dove lo spettacolo si tiene”. Difficile immaginare un do di petto che faccia tremare la sala con una mascherina che copre la bocca. Lo stesso vale per la prosa e per i concerti rock o di musica leggera. Senza contare che si dovrebbero necessariamente immaginare delle deroghe, per esempio per i musicisti di strumenti a fiato. Un’altra delle condizioni poste dal Comitato è il tetto di duecento persone per gli spettacoli al chiuso, che diventano mille nel caso di spettacoli all’aperto.
“Ci sorge il dubbio che la fretta sia finalizzata solo a riavviare il lavoro delle grandi strutture e dei loro uffici – sostengono i lavoratori dello spettacolo - con il rischio che vengano interrotte le misure di tutela stabilite dal Governo per far fronte all'emergenza”. Nella pratica, i numeri parlano da soli: la riapertura a queste condizioni sarebbe proibitiva per gli spazi sotto i cento posti, dove il distanziamento sociale permetterebbe di staccare un numero esiguo di biglietti a replica. La stessa considerazione vale per gli spazi all’aperto, dove le platee oltre i mille posti non sono appannaggio delle piccole e medie produzioni. Agis, Federvivo e Anfols, dal canto loro, hanno espresso soddisfazione per l’incontro di ieri al Mibact indicando, tra le priorità, la riattivazione dei servizi generali e tecnici dei teatri e quindi dell’attività produttiva, come già scritto nel documento “Lo Spettacolo in Italia nella Fase 2”.
Solo qualche timido accenno alla sicurezza dei lavoratori e alla difficile applicazione dell’uso della mascherina in alcuni contesti. “Come si può pensare di ripartire come se nulla fosse- chiede la rete A2U - dopo il comportamento assunto da Agis e il mancato rispetto delle regole sui licenziamenti, che hanno fatto perdere decine di migliaia di euro agli scritturati, danneggiando loro e le rispettive famiglie?” Il riferimento è ai licenziamenti in tronco avvenuti in molti casi all’inizio della Fase 1. I lavoratori dello spettacolo denunciano la mancanza di controlli, da parte del Ministero, sul “comportamento scorretto delle imprese e il mancato rispetto del ccnl, che è uno dei parametri per l'assegnazione del Fus. Lo stesso ccnl che aveva previsto l'istituzione di un Osservatorio Nazionale dal 2018, mai avviato”.
Una ripartenza frettolosa per compiacere imprese e pubblico, in questo momento, presenta dei fattori di rischio. Potrebbe, infatti, significare il ritorno a lavoro per una percentuale irrisoria di artisti e maestranze. Ci sarebbe il pericolo di lasciare a loro la responsabilità individuale in caso di contagio, con il rischio di una corsa al lavoro al ribasso, “mentre la stragrande maggioranza delle persone verrebbe lasciata nel deserto".