A pochi giorni dalla rituale serata conclusiva che decreterà il vincitore o la vincitrice della LXXVIII edizione del Premio Strega (quest’anno i finalisti sono sei, equamente distribuiti per genere) abbiamo intervistato Chiara Valerio, tra le finaliste con il romanzo Chi dice e chi tace (Sellerio editore, pp. 288, euro 15), una storia ambientata sul mare della sua Scauri, dove le vite di tre donne si intrecciano con la morte di una di loro, innescando un meccanismo narrativo non solo avvincente, nel segno della migliore tradizione della scrittura investigativa, ma offrendo al lettore anche l’occasione per approfondire ancora, come già accaduto in altri libri dell’autrice, alcuni tra i suoi temi più battuti, che raccontano l’esistenza umana da punti di osservazione poco consueti, troppo poco frequentati, eppure essenziali per entrare davvero nel cuore delle tante frammentazioni individuali e collettive che pulsano nelle vene della società contemporanea.

Partirei dallo stile di questo libro, Chi dice e chi tace, che ho trovato sorprendente rispetto alle ultime pubblicazioni per Einaudi. Come mai questa scelta?
Ogni libro ha la sua lingua. E ogni lingua ha la sua storia. Chi dice e chi tace poteva essere scritto solo così. Con questa grammatica che mima la risacca incessante di un paese di mare. Le voci che si accavallano e si ritirano, improvvisamente si gonfiano e poi calma piatta.

Una narrazione che guarda anche alla tradizione del romanzo giallo e del noir, generi a cui il catalogo Sellerio è sempre stato sensibile, sin da Leonardo Sciascia. Come si sta rivelando (sviluppando) questo connubio con l’editore siciliano?
Molto appassionante e fruttuoso. Sono felice del lavoro fatto prima che il testo fosse pubblicato e sono felice del lavoro che siamo facendo da quando il libro è sugli scaffali e da quando da scrittrice di questo libro ne sono diventata pure io lettrice. E se da autrice è il mio primo libro, io sono sempre stata una lettrice Sellerio.

La storia racconta l’intreccio delle vite di tre donne, nel caso di Vittoria anche la morte. Ma la ricerca di una verità da parte di Lea, che a tratti diviene passionale, e l’esistenza stessa di Mara, sembrano voler offrire al lettore la possibilità di poter riconoscere nell’individualità di ciascuna la potenza della diversità, ancor più evidente se realizzata nella piccola provincia italiana.
Nessuno dei personaggi femminili, e nessuno dei personaggi maschili, fa della propria vita, epica. In breve, non si vantano. Né dei successi, né degli insuccessi. Campano e lasciano campare. Si ribellano, ma senza dichiararlo, all’idea di qualsiasi purezza. Pensi a quando Lea parla col ferroviere al dopolavoro trattandolo come un eroe antifascista e il ferroviere, Mimmo, le risponde che non l’hanno messo al confino solo perché era antifascista, ma anche perché era omosessuale. Ecco, questa cosa, molto umana, che però ci stiamo dimenticando, per pigrizia, per conformismo – quasi avessimo certezza su dove finisce un sentimento e ne comincia un altro o dove una parola può non ferire e dove no – del campare prima di giudicare, mi pare sia al centro del romanzo. E forse, in generale di ciò che scrivo. E forse, oltre la scrittura, di come cerco di comportarmi.

Restando ai personaggi femminili di questo libro, appaiono come caratteri disegnati per invitare a una riflessione sulla società contemporanea. In che modo vogliono farlo, in virtù dello scenario politico e culturale che stiamo vivendo?
Penso che questo sia un romanzo sull’ambiguità dei sentimenti e sulla realtà in cui molti esseri umani conducono battaglie, che portano migliorie per tutti, senza rivendicarle. Si può lottare senza rivendicare la lotta. Si può amare nuocendo e si può possedere curando. Il romanzo è la forma speculativa più acuta che abbiamo in quanto esseri umani e mi pare, in questo – che forse, come diceva all’inizio, è stilisticamente diverso dagli altri, ma tematicamente, concorderà, è una nuova versione di quelli che, ad oggi, posso dire i miei temi – il punto politico e linguistico sia occuparsi di dirsi ambigui e, dopo averlo fatto, cercare di essere il più chiari possibili anche con gli altri intorno, amati o solo presenti.

Da finalista del primo Strega come stanno trascorrendo questi giorni di incontri promozionali, di parole ed esperienze condivise con gli altri partecipanti?
Siamo una allegra combriccola. Siamo tutti lettori di molti libri e dei libri finalisti al Premio Strega di quest’anno, i nostri. Siamo scherzosi, perché la cautela è il contrario della confidenza e la confidenza è un comportamento culturale, o così mi pare. Siamo curiosi, perché la curiosità è una delle principali attitudini di chi scrive. Insomma, c’è andata bene. Era cominciata bene in dozzina e finirà bene anche quando vincerà uno solo di noi. Insomma, questa è la nostra intenzione e, anche se è difficile, credo che saremo all’altezza delle nostre intenzioni.