PHOTO
Cercasi librai felici contro l’estinzione dei lettori. Potrebbe essere un buon annuncio da esporre fuori dalle librerie di Roma, e non solo. Già, perché, quando si parla di chiusure, di desertificazione delle città (ne abbiamo scritto qui), di Amazon in testa negli indici di vendita, e si presentano rapporti sulla perdita di lettori in Italia, si dimentica sempre il fattore umano. Ma le librerie non sono gelaterie. Chi vende fa la differenza. Parliamo quindi del libraio, uno dei mestieri più belli e idealizzati del mondo. Che cambia a seconda che si lavori in una libreria di catena, in franchising o indipendente, che viva di eventi o meno, che si trovi nel centro storico o in un quartiere di periferia. Le giornate – per tutti – sono scandite dalle consegne, dalla catalogazione, dalla sistemazione dei libri negli scaffali, dalle rese. Ma che si tratti di un lavoro faticoso, è risaputo.
Addio fattore umano
Meno scontato è scoprire che il tempo per leggere è esiguo, la formazione è quasi inesistente, lo stipendio nella maggior parte dei casi non è sufficiente a mantenersi, e il posto fisso è un miraggio, bisogna essere sempre pronti a cambiare aria. Il resto, cioè quel fattore umano di cui sopra, l’immagine romantica del libraio che consiglia il lettore indeciso, proponendogli magari un romanzo letterario di un piccolo editore, è roba (quasi) superata. In giro si vedono soprattutto commessi. Che di letteratura sanno poco. Che per cercare un titolo di Borges o di Kafka, hanno bisogno del computer. All’interno, tutto è deciso da Messaggerie (il più grande distributore di libri in Italia) e dai grandi gruppi editoriali, che, come ha recentemente evidenziato un articolo de Il Post, stanno riducendo la bibliodiversità.
Il lettore estinto
Ascoltando diversi librai della Capitale (che hanno preferito rimanere anonimi) emerge un senso di precarietà e la sensazione che il lettore in diverse zone di Roma sia veramente estinto. “Ogni giorno ci troviamo di fronte le stesse facce, se non il vuoto. Mancano i flussi di gente, i primi mesi di quest’anno sono andati malissimo – racconta un libraio Feltrinelli, che dieci giorni fa ha scioperato insieme ad altri suoi colleghi per chiedere il rinnovo del contratto e l’aumento dei buoni pasto –. Dal punto di vista delle istituzioni, nonostante grandi promesse, non è stato fatto granché. Vedremo cosa accadrà con questo “Piano Olivetti” ma, se parliamo di Roma, non aver difeso le librerie storiche del Centro, non essere venuti incontro a chi chiedeva una mano per l’affitto, ha creato le condizioni per la scomparsa di lettori e di presidi culturali”. Il fattore umano? “Le persone che entrano in libreria sono distratte, parlano al cellulare, guardano in aria, fanno domande come se si trovassero dall’alimentari o dal ferramenta. E di fronte si trovano librai depressi, sfibrati per la carenza di personale, poco informati perché, diciamo la verità, il tempo di leggere non ce l’ha più nessuno”.
Grandi spazi vuoti
Allargando lo sguardo alle altre librerie di catena, a Roma il Gruppo Mondadori è presente con quelle di proprietà (sono 6) e in franchising (17). In queste ultime i librai hanno un raggio d’azione meno limitato, che gli consente di operare delle scelte. Il problema è che i lettori sono sempre di meno. L’estinzione salta all’occhio nell’ultima arrivata in casa Mondadori, la libreria all’interno della Galleria Alberto Sordi, a pochi metri da dove per anni dominava Feltrinelli. Lo spazio è notevole, sono 450 mq distribuiti su tre piani. Peccato che sia desolatamente vuota, se si escludono alcuni eventi all’ora dell’aperitivo. Gli unici ad entrare sono i turisti di passaggio, in cerca di prodotti di cartolibreria. A proposito di Mondadori, la casa editrice Einaudi dal 30 dicembre scorso ha smesso di vendere i propri libri a rate nei punti vendita sparsi sul territorio (a Roma sono tre: in via Bisagno, via Vigevano e largo Sant’Alfonso) dopo aver visto calare il numero di nuovi sottoscrittori e soprattutto di giovani. Da luglio 2025 il filo diretto con la casa madre cesserà quasi del tutto. Quindi, chi potrà continuare a pagarsi l’affitto senza delle entrate che prima erano regolari, proverà a riconvertirsi in libreria indipendente, mantenendo un rapporto privilegiato con Einaudi. Gli altri rischiano di chiudere per sempre.
Chi se la passa meglio è Libraccio, la principale catena di librerie specializzate nella scolastica e nei libri usati. Dopo le aperture di Via Appia Nuova e di Via Chiana, si appresta a inaugurare (il 10 aprile) una nuova sede a Prati, in via Cipro 57. Prosegue, quindi, il piano di aperture nelle zone residenziali, circondate di scuole, ristoranti, parchi. E ancora, ci sono le librerie in franchising, come la Ubik, che viste da fuori sembrano indipendenti, e appaiono l’unica speranza per i giovani librai che vogliano intraprendere questo mestiere. La maggior parte di queste hanno un bar al loro interno e vivono soprattutto di iniziative e presentazioni di libri (c’è chi ne fa anche due o tre al giorno). Infine, resistono come possono le poche librerie indipendenti rimaste. Qualche nome? Aseq, Fahrenheit 451, Altroquando, Tra le righe, L’altra città, Coreander, Panisperna 220, Pagina 272, Tomo, Tuba, Giufà, Vescovio.
Non servono commessi, ma librai felici
“La verità che è a Roma le uniche librerie che ancora si reggono da sole sono La Nuova Europa I Granai, la Libreria Minerva, il Notebook dell’Auditorium Parco della Musica e la Libreria Scuola e Cultura a Talenti” rivela uno storico libraio, vicino alla pensione. “Le altre sono indebitate, hanno proprietari che ripianano le crisi, ex dipendenti che hanno fatto causa per mensilità o straordinari mai pagati, e si tengono in piedi grazie alla fatica di librai che pur di continuare a fare il lavoro che amano, e per cui morirebbero, accettano compromessi al ribasso”. Il mercato è un problema. A Roma, come in altre città d’Italia. Ma a tenere in vita una libreria, o a causarne la sua fine, è sempre il fattore umano. Per questo non servono commessi sfiniti. Ma librai felici. Che trasmettono entusiasmo. Ne abbiamo più bisogno che mai.