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Il 14 aprile del 1988 moriva Camilla Ravera, tra i fondatori del Pci nel 1921, unica donna che durante il periodo della formazione del gruppo dirigente del Partito comunista assunse la statura di dirigente politico nazionale entrando nel 1923 nel Comitato centrale e nel 1926 nell’Ufficio politico.
“Io sono stata sempre considerata una ribelle - raccontava di sé - Abitavo a Torino, si stava costruendo la Fiat, e si vedevano certe volte colonne di operai in lotta perché dovevano guadagnarsi un po’ di bene. Allora li vedevo sfilare così compatti, così ordinati, nessuno li dirigeva, così silenziosi e con passo regolare andavano sulla loro piazza per discutere i loro problemi. Allora io uscivo - mio padre non me lo impediva - e andavo a sentire cosa dicevano. Dopo avermi regalato Il Capitale mio padre mi disse: “Se leggi quel libro, ci metterai tantissimo a leggerlo attentamente, ma capirai perché avviene quello che avviene”. E così andavo a vedere, assistevo a questi movimenti, mi piaceva moltissimo. Avevo più o meno diciotto anni. Ero emancipata”.
Sarà Antonio Gramsci a intuire le capacità di Camilla, chiamandola nel 1920 nella redazione del settimanale Ordine Nuovo affidandole l’incarico di esperta del movimento internazionale. Lo stesso Gramsci, nel luglio 1921, le affiderà sempre nell’Ordine Nuovo, diventato quotidiano, il ruolo di responsabile della «Tribuna delle donne» (avrà poi l’incarico di dirigere il periodico La Compagna).
Dirigente per molti anni dell’Unione donne italiane, prima donna a diventare senatrice a vita nel 1982, dopo le leggi fascistissime del 1926 e l’arresto di Gramsci, Camilla si impegnerà per tenere insieme e in costante contatto i comunisti italiani, cercando di rafforzare l’organizzazione clandestina del Pci.
Arrestata nel 1930 ad Arona (Novara) e condannata a 15 anni di carcere, ne sconterà cinque in cella, gli altri al confino a Montalbano Jonico, San Giorgio Lucano, Ponza e Ventotene (al momento della scarcerazione, le sue condizioni di salute erano tanto precarie che, prima di essere avviata al confino, fu mandata in licenza a casa sua a Torino, dove rimase fino al novembre del 1936).
Mussolini ordina il suo primo arresto nel novembre 1922, ma Camilla riesce a sfuggire alla cattura per quasi otto anni. Per un po’ di tempo si fa chiamare “Silvia”, poi, il suo nome in codice diventa “Micheli”, tanto che in molti, tra i fascisti che le danno la caccia, pensano di avere a che fare con un uomo.
Nel 1939 prende posizione contro il Patto Molotov-Ribbentrop e viene per questo espulsa dal PCdI insieme a Umberto Terracini. “Dal 1939 al 1945 (ndr tornata in libertà nell’agosto del 1943, parteciperà alla Resistenza in Piemonte) - raccontava Miriam Mafai - era rimasta fuori del partito, colpita da un provvedimento disciplinare. Sono anni di solitudine estrema sopportati con grande dignità, tanto più dolorosi in quanto sono gli stessi anni in cui, dopo la caduta del fascismo, si organizza in Italia la Resistenza, l’attività clandestina e armata. Il provvedimento nei suoi confronti verrà ritirato soltanto dopo la Liberazione quando, nel maggio del l945, Togliatti arriva a Torino. È in federazione, attorniato dai compagni quando, con aria sorniona, chiede: E dov’è la Ravera?. Qualcuno risponde imbarazzato che la Ravera non c’è, non può esserci perché non è più nel partito. E Togliatti: Ma non scherziamo... Chiamatemi la Ravera e non si parli più di quella sciocchezza”.
Riammessa nel Partito nel 1945, viene eletta al Consiglio comunale di Torino l’anno seguente, poi in Parlamento (come deputata sarà cofirmataria di progetti di legge soprattutto su materie come la tutela della maternità e la parità dei diritti e delle retribuzioni tra uomo e donna).
“In tempi in cui per le donne era quasi impossibile partecipare attivamente alla vita politica e sociale - affermava commemorando la sua scomparsa Nilde Iotti - Camilla Ravera è già una protagonista, in quella fucina di elaborazione teorica e di azione politica che è la Torino dell’Ordine nuovo e dei primi grandi nuclei di classe operaia, delle lotte che seguirono la fine della prima guerra mondiale, del drammatico insorgere del fascismo. Nel periodo cruciale della formazione del gruppo dirigente di quello che diverrà nel ‘21 il partito comunista d’Italia”.
Nel 1982 Sandro Pertini, presidente della Repubblica e suo compagno di confino, la nomina senatrice a vita. Quando il 26 gennaio 1982 fa il suo primo ingresso a Palazzo Madama, i senatori, riuniti in assemblea plenaria, l’accolgono tutti in piedi.
“La sua nomina - scriveva in un commosso messaggio la presidente della Camera Nilde Iotti - premia una lunga e straordinaria milizia al servizio della libertà, della democrazia, del socialismo. Grazie anche a te, carissima Camilla, è stata mantenuta viva l’idea della libertà nel periodo più buio della travagliata storia italiana; la democrazia si è arricchita di grandi contenuti innovatori; il movimento emancipatore delle donne ha avuto slancio e conseguito grandi successi. Voglio quindi esprimerti la commossa soddisfazione mia personale e di tutta la Camera dei deputati per una nomina che onora altamente il Parlamento”.
“Era piccola, magra, un po’ curva, i capelli bianchi ordinatamente raccolti sulla nuca”, così la descriveva il giorno successivo alla sua scomparsa Miriam Mafai. Così la ricordiamo in tanti nella nota fotografia con Enrico Berlinguer.