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Bruno Libero Victorio Trentin nasce il 9 dicembre 1926 in Francia, a Cédon de Pavie, piccolo centro vicino ad Auch, capitale della Guascogna, avendo suo padre Silvio, docente di Diritto pubblico e amministrativo all’Università di Venezia e seguace di Giovanni Amendola, deciso di andare in esilio insieme alla famiglia per non sottostare alle imposizioni fasciste che punivano la libertà di insegnamento e di opinione. La famiglia è composta, oltre che da Silvio, dalla moglie Beppa Nardari e dai figli Giorgio e Franca, che hanno otto e sette anni più di Bruno.
Silvio, con la moglie e i figli Giorgio e Bruno (Franca rimane in Francia), rientrano in Italia dopo la caduta di Mussolini pochi giorni prima dell’8 settembre. È allora che Bruno, non ancora diciassettenne, inizia a scrivere il suo diario, Journal de guerre, nella sua lingua madre, il francese.
Padre e figlio vengono arrestati e imprigionati a Padova a metà novembre, poi liberati ma sotto sorveglianza. In carcere Silvio è colpito da un nuovo attacco di cuore: viene ricoverato prima a Treviso, poi a Monastier dove muore nel marzo 1944, dopo aver dettato a Bruno (gennaio 1944) l’abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell’Italia al termine della rivoluzione federalista in corso di sviluppo e redatto un ultimo appello ai lavoratori delle Venezie.
Bruno, che non ha ancora 18 anni, alla morte del padre si dedica anima e corpo alla guerra partigiana con lo pseudonimo Leone: prima nella Marca trevigiana, soprattutto nelle Prealpi sopra Conegliano, poi, dopo il rastrellamento tedesco dell’estate 1944, a Milano, agli ordini del Cln Alta Italia e di Leo Valiani, cui il padre lo aveva affidato prima di morire.
Dopo la Liberazione Bruno si iscrive al Partito d’azione. Vive in questo periodo tra Milano, Padova (dove si iscrive all’Università nella facoltà di Giurisprudenza) e Treviso, dove risiede la famiglia. Partecipa in modo intenso alla tormentata storia del Partito d’azione, fino al suo scioglimento nell’ottobre 1947. Dopo la laurea, alla fine del 1949, viene chiamato da Vittorio Foa a far parte come ricercatore dell’Ufficio studi della Cgil. Si trasferisce così a Roma, divenendo uno dei più stretti collaboratori di Giuseppe Di Vittorio.
Bruno rimane all’Ufficio studi della Cgil anche dopo la sua morte e, nel 1960, viene nominato vicesegretario della Confederazione. Nel febbraio 1962 viene eletto segretario generale dei metalmeccanici. Rimarrà alla Fiom fino al 1977. Sulla spinta delle lotte studentesche e operaie del biennio 1968-1969, il suo impegno sarà principalmente volto ad affermare l’esperienza del “sindacato dei Consigli” fino alla costituzione nell’ottobre 1972 della Flm, la Federazione unitaria dei lavoratori metalmeccanici.
Dopo essersi dimesso da segretario generale della Fiom, Trentin fa parte della segreteria nazionale della Cgil dove dirige vari settori di lavoro: democrazia economica e industriale, mercato del lavoro, pubblico impiego, studi e ricerche. Promuove in questi anni l’idea del piano di impresa, l’Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali della Cgil) e più tardi l’Istituto superiore di formazione, la Consulta giuridica.
Il 29 novembre del 1988 viene eletto segretario generale della Cgil. Il primo atto della sua segreteria è la Conferenza programmatica di Chianciano nell’aprile successivo. Trentin rompe gli indugi e illustra il suo progetto, avanzando l’ipotesi di una nuova Cgil, sindacato dei diritti, della solidarietà e del programma. È il punto di avvio di un processo di autoriforma che proseguirà con la Conferenza di organizzazione di Firenze del novembre 1989 e il Congresso di Rimini del 1991, per concludersi nel giugno 1994 a Chianciano con la Conferenza programmatica della Confederazione.
Sul piano organizzativo, la novità più rilevante è lo scioglimento delle componenti storiche collegate ai partiti di riferimento della sinistra italiana. In questo modo, la dinamica tra maggioranza e opposizione si sarebbe sviluppata all’interno del sindacato non tanto sulla base della vicinanza a un partito o a una coalizione di governo, quanto in virtù della condivisione o meno di un programma di governo dell’organizzazione.
Sul piano rivendicativo la Cgil accetta di contribuire alla riforma della contrattazione collettiva e di discutere con gli interlocutori pubblici e privati l’introduzione della politica dei redditi attraverso il sistema della concertazione, individuata come il principale strumento per riportare sotto controllo l’esplosione del debito nazionale; entrambi questi temi saranno introdotti con lo storico accordo siglato nel luglio 1993 con il Governo Ciampi.
Dopo le dimissioni da segretario generale della Cgil Trentin rimane negli organismi confederali come responsabile dell’Ufficio di programma, ma soprattutto ritorna a essere un “ricercatore socio-economico”, come si autodefiniva con un certo vezzo. Sono anni in cui scriverà molto: Il coraggio dell’utopia (Rizzoli, 1994), Lavoro e libertà nell’Italia che cambia (Donzelli, 1994), Nord Sud. Lavoro, diritti e sindacato nel mondo (Ediesse, 1996), La città del lavoro. Sinistra e crisi del fordismo (Feltrinelli, 1997), Di Vittorio e l’ombra di Stalin. L’Ungheria, il Pci e l’autonomia del sindacato (Ediesse, 1997).
Nel giugno 1999, su proposta dei Democratici di sinistra, viene candidato ed eletto al Parlamento europeo, dando un contributo primario alla Carta europea dei diritti di Nizza e alla Conferenza di Lisbona sull’economia della conoscenza.
All’indomani di una campagna elettorale dedicata prevalentemente al ruolo dell’Europa nello scenario internazionale, dell’intervento della Nato nei Balcani contro la pulizia etnica della Serbia di Miloševic ́nel Kosovo, il suo impegno al Parlamento europeo è contraddistinto dalla capacità di connettere la costruzione dell’Europa politica alle dinamiche economiche e sociali dei Paesi della moneta unica. Bruno ritrova l’Europa senza mai perdere di vista la realtà italiana della quale rimane lucido commentatore e inevitabile protagonista.
Nel 2001, dopo il Congresso di Pesaro, viene eletto presidente della Commissione Progetto dei Ds. Riceve nel 2002 dall’Università di Venezia la laurea honoris causa con la lectio doctoralis “Lavoro e conoscenza”.
Vittima di una banale caduta in bicicletta, nell’agosto 2006 Bruno Trentin viene ricoverato in gravi condizioni all’ospedale di Bolzano. Morirà esattamente un anno dopo, il 23 agosto 2007, stroncato da una polmonite resistente alla terapia antibiotica.
“Già in questi mesi di sofferenza, dopo la caduta dello scorso anno, si è sentita la sua mancanza”, scriverà Bruno Ugolini: “Alludo all’assenza amara di una voce che sapeva guardare con lucidità e con speranza le vicende di un mondo, di un Paese, di una politica che a stento cerca il filo di un futuro incerto. Autonomia, lavoro, libertà. Sono le tre parole care a Bruno Trentin. E tornano in mente ora, mentre tento di ripensare, così come l’ho conosciuta, la vita di un dirigente sindacale, di un dirigente politico, di un leader della sinistra italiana ed europea”.
Prosegue Ugolini: “A molti poteva apparire, di primo acchito, come un aristocratico, un raffinato intellettuale, chiuso nella sua torre d’avorio. Ma era lo stesso uomo che nell’autunno caldo affrontava tempestose assemblee operaie, a volte rischiava di buscare i bulloni in testa. Aveva il gusto del confronto, aspro, non solo con gli avversari politici, con le controparti imprenditoriali o con dirigenti di partito”.
Bruno Ugolini così conclude: “Sapeva affrontare anche masse di lavoratori agitati da ribellismi corporativi. Perché non li considerava plebaglia pezzente, capace solo di invocare le grazie di un boss o di un moderno principe o di protestare al vento. Considerava i ‘salariati’ come dei protagonisti, dei ‘produttori’. Così li aveva chiamati nel titolo di un bel libro: Da sfruttati a produttori. Era il senso di una battaglia fatta di unità, di lotte e di conquiste, ma soprattutto intrisa di un concetto a lui molto caro: ‘autonomia’. È la sua prima parola. Autonomia per il sindacato, per la Cgil, per i lavoratori, autonomia per sé”.
Mi chiamo Bruno Trentin, ho 71 anni. Ho passato tutta una vita nel lavoro sindacale. Probabilmente questa scelta l’ho fatta perché ho scoperto, anche quand’ero molto giovane, nella classe lavoratrice una straordinaria voglia di conoscenza e di libertà, proprio in quei lavoratori che non avevano avuto la fortuna di un’educazione, di partecipare a un’esperienza di studi. Proprio lì ho trovato un bisogno straordinario, molto più grande di quello di avere un alto salario, ecco, di diventare persone libere, di esprimersi attraverso il proprio lavoro liberamente, di conoscere. E questo spiega anche la grande fierezza, che risorge continuamente nel mondo del lavoro, in tutti i continenti, in tutti i paesi. Questa è la cosa che mi ha profondamente affascinato e che mi ha dato la voglia di mettermi proprio al servizio di questa causa.