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Tra le varie letture estive val la pena rileggere questa intervista a Bruno Trentin, pubblicata giusto alla fine dello scorso anno da Editori Riuniti e realizzata dallo storico del pensiero politico Guido Liguori, la cui prima edizione risale al 1999, quando l’allora ex segretario generale della Cgil (1988-1994) era stato appena eletto al Parlamento europeo nelle liste dell’allora partito dei Ds.
Il titolo scelto è “Autunno caldo. Il secondo biennio rosso 1968-69” (pp. 176, € 12), libro suddiviso in otto capitoli, all’interno dei quali la riflessione dell’intervistato ricostruisce non soltanto un periodo storico fondamentale del secondo novecento italiano, ma approfondisce alcuni temi che molto hanno a che fare con la nostra contemporaneità.
Lo evidenzia bene l’attuale segretario generale Maurizio Landini nella sua introduzione, laddove ricorda come le questioni sulle quali Trentin si sofferma con particolare attenzione sono essenzialmente tre: la messa in discussione dell’intera filiera del lavoro della fabbrica “fordista”, i legami che si intersecano nella discussione sulle forme di democrazia e rappresentanza, e la liberalizzazione dei flussi di capitale dovuta in particolare alla rivoluzione tecnologica, a cui si aggiunge un altro elemento essenziale riguardante la centralità dei diritti, con uno sguardo soprattutto rivolto a quelli di lavoratori e lavoratrici.
Si intuisce subito quali siano gli spunti che riconducono alla nostra stringente attualità, ed è lo stesso Landini a scrivere come si tratti, ora come allora, di trovare le alternative migliori per “affermare un progetto di società che abbia al suo centro il lavoro e una diversa qualità dello sviluppo. Un’esigenza, tra l’altro, resa urgente dalla crisi ambientale e dall’approfondirsi delle diseguaglianze”, e dunque “un progetto di società orientato verso la qualità delle produzioni, la rivalutazione dei beni comuni e pubblici, la conoscenza e la cultura, la qualità sociale”. Tutti temi che in questi giorni, e in quelli prossimi a venire, avranno a che fare con l’agenda politica e sindacale del Paese.
Proprio il rapporto tra politica e sindacato è una delle costanti del pensiero di Bruno Trentin, al quale ha dedicato buona parte della sua attività teorica e pratica, che nel volume ritroviamo quando dal sessantotto studentesco si passa a ripercorrere l’anno degli operai, quello per l’appunto passato alla storia con la definizione di “autunno caldo”, ma che porta con sé anche quella di “secondo biennio rosso”, dato che il primo accadde agli inizi del secolo scorso, tra il 1919 e il 1920, in quella Torino divenuta poi il simbolo delle lotte operaie in fabbrica, quando a Torino la fabbrica si chiamava ancora Fiat.
D’altronde Trentin conosceva meglio di chiunque altri questo mondo, grazie all’esperienza maturata nel ruolo di segretario generale della Fiom e della Flm per tre lustri, tra il 1962 al 1977, dunque proprio negli anni in cui si preparò il terreno all’autunno operaio sino al decennio successivo, quello settanta, durante il quale le lotte e le battaglie iniziate proseguirono sviluppando le medesime istanze, rivendicando dignità e diritti, oltre che un salario e un orario di lavoro adeguati, prima che l’onda lunga dell’edonismo liberista prendesse il sopravvento portando via tutto, o quasi, costringendo le generazioni successive a pagarne le conseguenze.
Nelle parole di Bruno Trentin, in questa intervista che Guido Liguori riesce a restituire al lettore con efficacia e discrezione, sembra dunque sempre esserci, nascosto tra le righe, una sorta di convitato di pietra, che anche lo stesso Landini nelle sue pagine iniziali evoca: la ricostruzione di una sinistra in Italia e, va da sé, la riunificazione del mondo del lavoro.
Perché in questi anni abbiamo assistito, più o meno impotenti, più o meno colpevoli, alla dissoluzione di una storia, quella della sinistra italiana, che non ha saputo intuire la direzione dei cambiamenti in atto, trasformando il valore della libertà, delle libertà, in qualcosa di poco comprensibile per il tessuto sociale che nel frattempo andava costituendosi.
Ecco il motivo per cui lo stesso Trentin, parlando nell’ultimo capitolo della lezione del “biennio rosso”, insiste su determinati contenuti:
“Sono convinto che le difficoltà della sinistra nell’intendere la portata dei movimenti antiautoritari del ’68 e nel salvaguardare questa loro connotazione originaria risiedano nella sua riluttanza ad accettare che, soprattutto in una società complessa, la battaglia per la conquista di nuovi diritti civili, sociali e di cittadinanza, può diventare l’elemento motore di una politica e non più soltanto l’eventuale coronamento dello sviluppo economico e sociale”.
Dal secondo biennio rosso, e da uomini come Bruno Trentin, c’è ancora molto da apprendere.