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Bruno e Daniele avevano lo stesso cognome, ma non erano parenti. Eppure appartenevano alla stessa famiglia, nati tra quelli che, per destino o volontà, nella vita hanno scelto di non arrendersi mai. “Perché non ti arrendi” chiede Daniele e Bruno a un certo punto del documentario, citando il titolo di un suo libro. “Perché mi pare giusto combattere fino a che posso. Voglio tenere duro di fronte ai nemici, a chi tradisce la parola, a chi specula sulle disgrazie”.
A vederle oggi, queste immagini, fanno un certo effetto, non possono non suscitare commozione. Bruno Segre è stato un partigiano, un avvocato impegnato nella difesa dei diritti civili, un giornalista, un politico. Ha attraversato più di un secolo con la schiena dritta, senza mai perdere il desiderio di esserci, di fare. Daniele Segre è stato un regista che non si è mai tirato indietro nel racconto delle storie, anche quando scomode. L’ultima è proprio quella del suo omonimo non parente, con il documentario Bruno Segre. L’uomo che non si arrende, terminato postumo dal figlio Emanuele.
Sì, perché nel gioco dei numeri che si fanno beffe della vita, Daniele è morto pochi dopo aver finito le riprese, il 4 febbraio del 2024, stroncato da una terribile e rapida malattia, a solo quattro giorni dal suo settantaduesimo compleanno. Bruno, invece, di anni ne aveva compiuti 104, ma se ne è andato il 27 gennaio. Nel Giorno della Memoria.
Ecco perché questo film a guardarlo ora ha il sapore di una vera e propria eredità congiunta. Asciutto, essenziale, quasi claustrofobico, in alcuni momenti, questo documentario che si muove come in un labirinto nelle stanze della vecchia casa torinese di Bruno. Le inquadrature dal basso ne seguono i passi, sul parquet vissuto e scricchiolante. I corridoi, le stanze, le mensole, i tavoli sono pieni di libri: “Non ho mai smesso di comprarne”.
E poi dischi, manifesti, telefoni anni Sessanta, cimeli che danno il sapore di una storia passata che continua a vivere tra le mura di quella casa: “sono pieno di ricordi”. Pieno nella testa, e circondato in uno spazio che, pur guardandolo sullo schermo, fa arrivare l’odore tipico delle memorie conservate. La lunga intervista si intervalla con uno degli interventi pubblici di Segre, quello del 24 aprile 2022 in Piazza Castello a Torino.
È lì che il regista lo ascolta parlare e decide di raccontarne la vita, di farla raccontare a lui. Ma c’è un’altra sequenza emotivamente coinvolgente che interrompe la lunga narrazione. Quando Bruno sbircia dalla finestra al di qua delle tende e da lì rivede tutta la storia del Novecento: gli anni Venti, poi gli anni Sessanta, e così via. Nel 1942 viene arrestato per “disfattismo politico”, poi si arruola nella divisione di Giustizia e Libertà e partecipa alla Resistenza. Dopo la guerra, da avvocato, difende il primo obiettore di coscienza in Italia, Pietro Pinna, e si impegna nella battaglia per la legge sul divorzio. Milita nel Psi, per uscirne con l’arrivo di Craxi. E per una vita continua a fare il giornalista e a scrivere.
Il documentario è ora disponibile in streaming su OpenDDB, la più grande piattaforma in Europa per opere indipendenti. Vale la pena vederlo perché – come ha scritto Daniele Segre nelle sue note di regia – “è un tempo di memoria di un uomo di 104 anni con una storia umana e politica necessaria da raccontare”. Ma anche perché è l’ultimo ricordo di un regista che ha sempre coerentemente inteso il suo mestiere come uno strumento per educare alla democrazia, all’antifascismo, alla libertà.