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Gli autori de La ribelle di Gaza (E/O, pp. 208, euro 12, in libreria dal 28 febbraio) sono due. Uno è Sèlim Nassib, che grazie al lavoro delle Edizioni E/O abbiamo già apprezzato in Italia, in particolare per Ti ho amata per la tua voce, l’intensa e struggente storia della grande cantante egiziana Umm Kalthum, oltre che per la raccolta di racconti Una sera qualsiasi a Beirut e il romanzo L’amante palestinese. L’altra è Asmaa Alghoul, scrittrice e giornalista, la cui vicenda biografica viene riassunta in maniera toccante dallo stesso Nassib nella sua prefazione.
E la ribelle di Gaza del libro è lei, Asmaa, che ha raccontato la sua storia riuscendo a uscire dalla Striscia attraverso l’Egitto per raggiungere Nassib in Normandia, raccogliendo quanto vissuto durante un’esistenza difficile da immaginare, dentro la quale la protagonista ci conduce quasi come se tutto, tutto l’orrore visto e vissuto, fosse quanto di più naturale si possa vivere.
Quando Sèlim raccoglie le parole di Asmaa siamo nel 2014, ed è superfluo aggiungere il valore che assumono oggi queste parole, in questi giorni, in queste ore, un significato ancora più forte, una testimonianza di certo unica, che racconta non una ma migliaia di vite, le vite perdute negli anni del conflitto arabo-israeliano, e in questa ennesima guerra iniziata il 7 ottobre scorso dopo il barbaro eccidio di Hamas e la vendetta di Israele.
Per far conoscere Asmaa Alghoul ai lettori, Nassib la descrive così:
Infanzia nel campo profughi di Rafah, prima intifada a cinque anni, soldati israeliani che fanno irruzione nel cuore della notte, zii che si uniscono a Hamas e fanno regnare in casa la sua morale, padre spesso assente (lavora negli Emirati arabi) ma tollerante, appassionato di lettura e scrittura... Asmaa mi racconta tutto, e il suo ritratto viene pubblicato sul primo numero dell’Impossible, il giornale lanciato a Parigi da Michel Butel. «Credo che i nostri veri occupanti siano occupanti interni - dice - Hamas, al-Fatah, i partiti... poi c’è la grande occupazione, quella di Israele. Non possiamo sbarazzarci della grande se non ci sbarazziamo prima delle piccole. La verità è che siamo sottoposti a un assedio mentale molto più imponente dell’assedio alle frontiere». Torna a Gaza e continua a ubbidire a quel suo radicalismo sottile che la porta a essere bersaglio di tutti, ma non riesce a cambiare.
Nei trentacinque brevi capitoli che lo compongono, il libro diventa con lo scorrere delle pagine il grido di una vita in cerca di normalità: amore, amori, famiglia, amicizia. Desideri. Ma la scrittura di Asmaa, in particolare le sue corrispondenze per il quotidiano online Al-Monitor, con sede a Washington, diviene anche la lucida analisi su chi siano le vittime e i carnefici, senza far sconti ad alcuno. E se oggi ci troviamo di fronte all’ennesimo bagno di sangue, se ancora una volta siamo qui a contare morti, a osservare attoniti e passivi lo spargimento di sofferenze per i vivi, a registrare il reiterarsi di atrocità che non dovrebbero appartenere al genere umano, è perché ciascuno, chi più chi meno, con il passare degli anni è diventato depositario della sua parte di colpa, per una vicenda che appartiene alla storia del mondo, dalla notte dei tempi.
Nella cronaca che Asmaa Alghoui alimenta attraverso la sua esistenza ci sono passaggi che fanno male più di altri per crudezza, e per il passionale disincanto di chi racconta. Tra le ultime pagine ne troviamo uno:
La morte davanti ai tuoi occhi è diversa dalla morte in televisione. Sullo schermo le immagini sono accompagnate da un’ottica ideologica o politica, da un “senso” che in fondo attenua l’evento e lo rende più sopportabile. Quando però si svolge sotto i tuoi occhi, l’evento ti riporta alle cose essenziali, la guerra e la pace, il bene e il male, la gente che muore perché la storia lo esige... Non si tratta più di Palestina né di altro, quello che hai sotto gli occhi è il fatto grezzo, la carne, il sangue, la morte, il sandalo e quelli che parlano ancora un secondo prima di morire... È molto più spaventoso, non c’è ringhiera, non c’è griglia interpretativa a cui reggersi. Vedi morire degli innocenti e i tuoi occhi credono quel che vedono, ma il cuore si rifiuta di accettarlo.
Rifiutarsi di accettare quanto continua ad accadere è il compito che ci spetta.