Le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo censiti dall’Inps sono 367.535, con una retribuzione media annua di 11.299 euro e un numero medio di 95 giornate retribuite all’anno. Numeri che sono stati estratti e analizzati da uno studio della lavorista Micaela Vitaletti, docente di diritto del lavoro all’Università di Teramo. La ricerca si intitola Lavoro e tempi dello spettacolo: uno studio sullo statuto giuridico dell’artista e si propone di delineare un identikit di quelli che sono i professionisti impiegati nel settore, e che contribuiscono a vario titolo alla realizzazione dell’opera creativa.

Un universo con professionalità molto diverse, che però hanno in comune non solo il lavoro artistico, ma anche alcune delle sue peculiarità, che ne condizionano fortemente la vita quotidiana di chi lo svolge. La ricerca è un percorso partito nei primi mesi del lockdown, quando tutto si fermò e per la prima volta – finalmente – il mondo sembrò accorgersi di queste lavoratrici e  lavoratori, così apparentemente in vista eppure invisibili. Un grande momento di presa di coscienza collettiva, in cui anche le istituzioni e il governo sembrarono aver compreso la necessità di una riforma strutturale del settore. Ancor di più, l’esigenza di ripensare gli strumenti di sostegno al reddito, le norme e le tutele in una chiave del tutto peculiare e adatta a conformarsi a un settore produttivo per sua natura fluido e intermittente.

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Eppure l’avanzata trionfante si è poco dopo tradotta in una ritirata alla chetichella. Le misure economiche e legislative proposte negli ultimi anni si sono rivelate comunque inefficienti ed episodiche, sicuramente inadeguate rispetto alle battaglie che, al contrario, i lavoratori stessi stanno portando avanti insieme ai sindacati. Una categoria da sempre poco o per nulla sindacalizzata, che ha invece scoperto la forza della rappresentanza. Nell’ultimo triennio, la Slc Cgil e le altre organizzazioni di categoria hanno portato avanti battaglie storiche, come quella per il rinnovo del contratto delle attrici e degli attori del cine-audiovisivo, il contratto dei doppiatori e in ultimo quello delle troupes, sul quale il tavolo è ancora aperto.

Lo stesso studio dell’Università di Teramo ha un precedente importante nella ricerca Vita da artisti – la prima che abbia mai provato a indagare il comparto - condotta nel 2017 dalla Fondazione Di Vittorio insieme alla Slc Cgil. Confrontando i dati dei due studi, si potrà constatare che non molto è cambiato, nonostante in mezzo ci siano passati sei anni e una pandemia che avrebbe dovuto cambiare radicalmente il nostro sistema produttivo. Ma non lo ha fatto.

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Quei numeri già evidenziavano, nel 2017, retribuzioni estremamente basse, così come l’entità e la quantità dei contributi versati; prove non pagate; lavoro in nero; necessità di svolgere un altro lavoro al di fuori dell’ambito dello spettacolo (per il 40% degli intervistati). Numeri ormai datati ma che proprio per questo stupiscono, se confrontati con quelli di oggi. Nel 2023 si è registrato un lieve aumento di 17.275 unità (+4%) rispetto al 2022, nonché un lieve incremento della retribuzione media nell’anno (+0,2%). Al contrario, si è ridotto il numero medio di giornate retribuite (-1,1%).

Il Ministero della Cultura sta lavorando a un nuovo Codice dello Spettacolo, sperando che non sarà l’ennesima occasione sprecata. Come nel caso dell’indennità di discontinuità, su cui in fase di elaborazione la Slc Cgil aveva più volte espresso preoccupazione, ritenendola insufficiente e incompleta. Dati alla mano, questa misura oggi intercetta solo il 15% della platea degli addetti al settore. Ancora più preoccupante è il fatto che in alcuni casi si sovrapponga all’indennità di disoccupazione, fagocitandola.

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Come suggerito in più occasioni dal sindacato, sarebbe invece opportuno pensare a un sistema unico e integrato di forme di sostegno al reddito, che tenga conto di un elemento imprescindibile: la discontinuità del lavoro. Confondere disoccupazione e intermittenza significa cancellare le specificità di un intero comparto, con misure che non saranno mai davvero adeguate a dare risposte in termini di reddito, di tutele, di diritti e di ammortizzatori sociali. Un’altra questione che resta centrale è come attribuire rilievo ai tempi diversi del lavoro artistico, che comincia con l’ideazione, passa per le prove e solo alla fine arriva alla restituzione di fronte a un pubblico. Un mestiere che mai potrà seguire le logiche standard dell’orario di lavoro. Ma che non per questo deve restare privo di tutele.