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Andy Warhol fu la figura predominante del movimento della Pop art e uno dei più influenti artisti del XX secolo. Racconta Fabio Carapezza, figlio del migliore amico di Renato Guttuso adottato e nominato erede: “Andy Warhol negli anni Settanta arrivò a Roma in tempi della campagna elettorale e di euforia per l’atteso 'sorpasso' sulla Dc. La città era sommersa di manifesti con quella vistosa “Falce e Martello” che Guttuso disegnò nel ’53 per il partito. Era la prima volta che Warhol vedeva quel logo, ossessivamente ripetuto, e lo fece suo. Ma per correttezza una delle prime versioni la regalò proprio a Guttuso”.
Hammer and Sickle, Martello e falce, così l’artista intitolerà il suo ritratto. Per lui veniva prima il martello e poi la falce, almeno nel titolo che probabilmente in lingua inglese suonava meglio. Quel primo esemplare diventerà la matrice di una serie di martelli e falci, realizzate tra il 1972 e il 1976 e poi esposte alla galleria Leo Castelli di New York nel 1977.
Molti sono in realtà gli artisti che hanno dato vita a opere adottando il simbolo della falce e del martello, simbolo che per circa un secolo ha rappresentato per milioni di donne e di uomini il riscatto dallo sfruttamento e la speranza in un avvenire migliore, che viene negli anni rappresentato in forme e modi diversi, come comune appartenenza, ideologia, ma anche contestazione, a volte in maniera e con finalità dissacranti. Jean Michel Basquiat, principe nero dei graffitisti scomparso nel 1988, rappresenterà quel simbolo separando, al contrario della classica iconografia, le due immagini.
“Presidente, cosa ne pensa di questa falce e martello destrutturata?”, sembra abbia chiesto tempo fa qualcuno a Giorgio Napolitano a una mostra difronte ad una immagine similare. “Una previsione storica abbastanza esatta”, sarebbe stata l’ironica risposta dell’allora presidente della Repubblica. Interpretazioni di un’arte che ripercorre, in chiave moderna - a volte quasi profetica - le tappe salienti della storia della lotta del proletariato e del suo simbolo più noto. Ed esempi illustri di artisti che hanno utilizzato o tratto spunto dal simbolo per eccellenza della lotta della classe operaia non mancano anche in Italia. La scuola di Piazza del Popolo era attratta dai simboli. Così vale per Franco Angeli e Mario Schifano e la sua celebre opera Compagni, compagni. "Compagno sì, compagno no, compagno un ca…" cantava nel frattempo Ricky Gianco.
Eppure c’è una bellissima definizione di Ernesto De Martino che con i dovuti aggiornamenti sembra resistere all’usura del tempo. La ricordava un po’ di tempo fa sul Manifesto Alessandro Portelli: “Io entravo nelle case dei contadini pugliesi come un “compagno”, come un cercatore di uomini e di umane dimenticate istorie, che al tempo stesso spia e controlla la sua propria umanità, e che vuol rendersi partecipe, insieme agli uomini incontrati, della fondazione di un mondo migliore, in cui migliori saremmo diventati tutti, io che cercavo e loro che ritrovavo”.
E noi compagne e compagni continueremo a chiamarci. “Certo è difficile dire oggi questa parola - diceva Rossana Rossanda - Non capiscono più in che senso lo dicevamo. È una bella parola ed è un bel rapporto quello tra compagni. È qualcosa di simile e diverso da amici. Amici è una cosa più interiore, compagni è anche la proiezione pubblica e civile di un rapporto in cui si può non essere amici ma si conviene di lavorare assieme. E questo è importante, mi pare”.