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Il 17 luglio 2019, dopo giorni pieni di preoccupazione per le sue condizioni di salute sempre più gravi, ci lasciava Andrea Camilleri. Scrittore, intellettuale di fama internazionale, sceneggiatore e regista, era conosciuto al grande pubblico soprattutto per aver creato il personaggio del commissario Salvo Montalbano.
Con la sua penna e la sua intelligente ironia lo scrittore - a partire da quella Vigata, che non ha alcun corrispettivo nella realtà, ma che finisce per essere più vera e familiare che mai - ci ha raccontato l’Italia di oggi e di ieri. Una storia che il maestro conosce perfettamente, della quale si è trovato a essere anche involontario protagonista.
Noto per i suoi romanzi, Camilleri è stato uno stimato conoscitore della storia d’Italia che ha raccontato in forme e modi diversi, non solamente narrativi. Nell’agosto del 2007, ad esempio, il papà di Montalbano scriveva per il prestigioso New York Times un interessantissimo e storicamente circostanziato, poco noto, ritratto di Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
“Nel caso di Sacco e Vanzetti - scriveva - sembrò subito chiaro a molti, in Europa e negli Stati Uniti, che il loro arresto nel 1920 - inizialmente per possesso di armi e materiale sovversivo, poi con l’accusa di duplice omicidio commesso nel corso di una rapina nel Massachusetts -, i tre processi che seguirono e le successive condanne a morte erano pensati per dare, attraverso di loro, un esempio. E questo nonostante la completa mancanza di prove a loro carico, e a dispetto della testimonianza a loro favore di un uomo che aveva preso parte alla rapina e che disse di non aver mai visto i due italiani”.
Continua Camilleri: “La percezione era che Sacco, un calzolaio, e Vanzetti, un pescivendolo, fossero le vittime di un’ondata repressiva che stava investendo l’America di Woodrow Wilson. In Italia, comitati e organizzazioni contrari alla sentenza spuntarono come funghi non appena essa fu annunciata. Quando la sentenza fu eseguita, nel 1927, il fascismo era al potere in Italia da quasi cinque anni e consolidava brutalmente la propria dittatura, perseguitando e imprigionando chiunque fosse ostile al regime, inclusi naturalmente gli anarchici. Eppure, quando Sacco e Vanzetti furono giustiziati, il più grande quotidiano italiano, il Corriere della sera, non esitò a dedicare alla notizia un titolo a sei colonne. In bella evidenza tra occhielli e sottotitoli campeggiava un’affermazione: Erano innocenti”.
Una storia, quella d’Italia, che il maestro conosce e spesso si trova a vivere “di pirsona pirsonalmente”. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 le forze alleate britanniche e americane sbarcano sulle spiagge della Sicilia, ancora controllata dalle forze dell’Asse, nell’ambito della cosiddetta “Operazione Husky”. È la seconda più imponente operazione offensiva organizzata dagli Alleati nella seconda guerra mondiale, la più vasta in assoluto nel settore del Mediterraneo, cui prendono parte due grandi unità: la Settima armata statunitense al comando del generale George Smith Patton e l’Ottava armata britannica al comando del generale Bernard Law Montgomery, riunite nel Quindicesimo gruppo d’armata sotto la responsabilità del generale britannico Harold Alexander.
La Sicilia sarà liberata in soli 39 giorni quando, il 17 agosto, le truppe alleate entreranno a Messina dopo aver conquistato tutte le altre importanti città (Palermo il 22 luglio, Catania il 5 agosto), costringendo i tedeschi alla fuga verso la Calabria. La liberazione dell’isola sarà raccontata anche dalle toccanti, bellissime immagini di Robert Capa, la cui strada incrocia, a un certo punto, quella di un giovanissimo Andrea Camilleri.
“Nella luce abbagliante di quella mattina di luglio, il tempio m’apparve intatto”, scrive l’autore siciliano in Una corsa verso la libertà, scritto contenuto nel libro di Gaetano Savatteri La volata di Calò (Sellerio): “Nello spiazzo antistante c’era un soldato americano che stava fotografando il tempio. O almeno tentava. Perché inquadrava, scuoteva la testa, si spostava di qualche passo a sinistra, Scuoteva nuovamente la testa, si spostava a destra. A un tratto si mise a correre, si fermò, cercò un’altra angolazione. Neppure questa volta si mostrò contento. Io lo guardavo meravigliato. Il tempio quello era, bastava fotografarlo e via. Che cercava? Doveva essere un siciliano, lo si capiva dai tratti, forse voleva portare un ricordo ai suoi familiari in America. In quel momento, fummo assordati da un rumore di aerei e di spari. In cielo, ma a bassissima quota, si stava svolgendo un duello tra un aereo tedesco e uno americano. Mi gettai a terra. Anche il soldato si gettò a terra, ma, al contrario di me, a pancia all’aria. Scattava fotografie una appresso all’altra senza la minima indecisione, la macchina tra le sue mani era un’arma, una mitragliatrice. Poi i due aerei scomparvero. Ci rialzammo, gli dissi qualcosa in dialetto. Non capì. Io non parlo inglese, ma qualche parola la capisco. Mi spiegò che era un fotografo di guerra. Mi scrisse su un pezzetto di carta il suo nome: Robert Capa. Per me, allora, un perfetto sconosciuto. Ci salutammo. Ripresi la bicicletta, tanto la strada ora era tutta in discesa”.
Non sarà questo l’unico incontro speciale nella vita dello scrittore. A 90 anni il maestro decide di pubblicare Certi momenti, testimonianze dietro le quinte d'incontri con personaggi noti o sconosciuti che hanno rappresentato per l’autore un momento speciale (“Gli uomini, le donne e i libri che racconto in questo testo - scriverà nell’introduzione - hanno rappresentato per me delle scintille, dei lampi, dei momenti di maggiore nitidezza”).
Da Primo Levi a Gadda, da Vittorini a Benedetto Croce, passando per Pasolini: piccole, grandi pillole di umanità da leggere. Da leggere come i libri che il maestro cita e che inserisce nell’elenco dei sui incontri speciali a partire da quello più importante, La condizione umana di André Malraux, la cui lettura sarà decisiva nel far crollare la fede fascista di Camilleri.
“Me ne stetti per qualche giorno a casa - racconta - senza andare a scuola; ero sicuro di non essere più un fascista, ma non sapevo ancora che cosa ero in realtà. Passavo notti insonni, chiedendomi quale sarebbe stato il mio avvenire in un mondo del quale rifiutavo tutto. In quei giorni mi capitò tra le mani un libro: si trattava di La condizione umana di André Malraux, pubblicato in Francia nel 1933, stampato in Italia l’anno successivo e misteriosamente sfuggito alle maglie della censura. (…) Quella notte lessi il libro tutto d’un fiato. Sono certo che immediatamente dopo quella lettura masse di neuroni del mio cervello si spostarono da una parte all’altra, che una modificazione radicale avvenne nel mio essere (…) Furono tre giorni di autentica malattia: avevo la febbre a trentanove, mi spuntarono come delle pustole sul viso, il medico chiamato di corsa diagnosticò un avvelenamento alimentare. In parte ci aveva indovinato, solo che non si trattava di un avvelenamento, ma dell’immissione di sangue nuovo, diverso, vivo, caldo, palpitante, che il mio organismo stentava a fare entrare dentro di sé. Ecco, quando mi chiedono come mai sei diventato a diciott’anni, ancora sotto il fascismo, un ragazzo con idee comuniste, io rispondo che tutto ciò, per fortuna, è successo grazie all’incontro casuale con La condizione umana di André Malraux”.