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Alcuni mesi fa, metà dicembre 2022, in una di quelle cene prenatalizie che si organizzano tra amici, in un breve momento a tu per tu chiesi a Ada d’Adamo di parlarmi del suo libro prossimo all’uscita. Quel libro, tra le amiche e gli amici di Ada, era molto atteso. Sapevamo che Ada aveva deciso di raccontare la storia di Daria, la sua bambina disabile, ormai diciottenne, e la propria di madre dapprima quasi del tutto votata alla cura di una figlia assediata dal dolore fisico, e poi di donna colpita per estrema ingiustizia da un tumore al seno metastatico.
Ada me ne disse il titolo, Come d’aria, un evidente e suggestivo gioco di parole, e raccontò le difficoltà incontrate nella ricerca di un editore culminata, dopo tanti rifiuti, nell’approdo a Elliot. Era preoccupata e, insieme, eccitata. Sapeva che non le restava molto tempo (ma questo non me lo disse) e desiderava il miglior destino possibile per questa sua creatura di parole (nemmeno questo mi disse).
Io, se ricordo bene, provai a incoraggiarla: grandi editori, piccoli editori, non conta nulla. Il destino di un libro è imperscrutabile. Almeno in questo avevo ragione, ripensandoci oggi. Come d’aria ha venduto decine di migliaia di copie e ancora ne venderà, ha vinto prestigiosi premi (Mondello, Flaiano), ora si è aggiudicato persino lo Strega, il premio dei premi, in una serata che ricorderemo in molti.
Il libro di Ada, per parafrasare una recente formula politica, nessuno l’aveva visto arrivare. Va sempre così. All'improvviso arriva qualcuno e cambia la storia. È arrivata Ada e ha cambiato la storia.
Ma per il resto – allora, in quei giorni tra dicembre e gennaio – mi sbagliavo. Mi sbagliavo perché ero preoccupato. Il libro di Ada, non avendolo ancora letto, mi inquietava. Mi chiedevo come fosse possibile, e se era stato possibile, raccontare una storia tanto colma di durezza e amore, vita e sofferenza, malattia, disperazione, speranza. Insomma, avevo paura di leggerlo. Ed ecco in cosa mi sbagliavo: non avevo visto arrivare il talento di Ada.
Poi lo lessi. E lo incontrai, il talento di Ada. Poco prima di una emozionante presentazione romana pubblicai un post sul mio blog. Non sto qui a riprendere quello che avevo scritto. Provai a spiegare perché, a mio parere, Come d’aria fosse letteratura: per la castità del suo stile, per il pudore, per lo stoicismo della prosa. Era un raro oggetto, un dono sobrio e candido: dove chiunque altro avrebbe urlato per la rabbia, Ada parlava con calma, raccontava, persuadeva.
Il libro aveva spiccato il volo, e non ha smesso di volare. E ha continuato a farlo anche dopo la morte di Ada, lo scorso aprile. Questa ragazza, questa donna, è tra le più sfortunate che io abbia conosciuto. Non ha potuto godere se non brevemente per il successo del proprio libro. Eppure l’ha scritto, almeno questo lo ha ottenuto: il dono del talento di scriverlo. E ieri sera quel talento le è stato riconosciuto pubblicamente.
Lo scorso maggio avrei dovuto parlare del libro in una delle tappe dello Strega, ma il Covid purtroppo me l’ha impedito. Mi ero preparato un argomento cui accenno ora, qui: Come d’aria, quasi interamente scritto al “tu”, è una lunga lettera di una madre a una figlia. Ma quella figlia disabile, Daria, non la può leggere né ascoltare, la lettera. Basterebbe questo a persuaderci che siamo al cospetto di un oggetto letterario, un oggetto che parla contro il silenzio, scritto seppure in assenza di ascolto.
E poi: solo un libro poteva portare la storia di Ada e Daria, poteva raccontarla. Non riesco a immaginare altro mezzo d’espressione. Come d’aria è quindi, anche, il più compiuto atto di verifica, e prova, che i libri sono ancora indispensabili e insostituibili.
Ciao Ada, grazie per averlo scritto, e tanti, tanti complimenti per il successo che hai ottenuto.