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Arriva Venezia ’77 e tornano le Giornate degli Autori, consueto evento di apertura della Mostra. Anche quest’anno, le Giornate sono state inaugurate a Isola Edipo con la cerimonia di premiazione di Bookciak, Azione!. Il concorso, promosso da Bookciak Magazine e Associazione Calipso, in collaborazione con il sindacato dei critici cinematografici (Sngci), premia i migliori corti ispirati alle pagine di romanzi, graphic novel e poesie pubblicati di recente, da case editrici indipendenti. “In quest’anno così particolare, essere tornati come evento di pre-apertura è una sorpresa e una responsabilità - commenta Gabriella Gallozzi, direttrice del Premio - con i nostri giovani vincitori concretizziamo il desiderio di ripartire, superando ogni sorta di isolamento fisico, sociale o generazionale”.
Tra le sezioni speciali del premio c’è Memory Ciak, realizzata in collaborazione con LiberEtà. La testata e casa editrice dello Spi-Cgil si propone come luogo di confronto tra generazioni sui temi del lavoro e dell’impegno sociale e civile, attraverso i romanzi-diari che fanno da traccia ai bookciak. Il libro da portare sullo schermo era “Le vite di Emma” di Ave Govi, vincitore della ventunesima edizione del Premio Letterario di LiberEtà. Una storia di riscatto femminile, un racconto di formazione sull’essere e diventare donne negli anni Cinquanta.
Marta Sappa, vincitrice insieme a Marco Marasca, perché ha deciso di partecipare alla sezione Memory Ciak?
Adoro scovare personaggi femminili forti, nei miei lavori mi focalizzo spesso sulla narrazione del femminile e delle sue sfaccettature perché sento che ce n'è bisogno. In passato, spesso la figura femminile mi sembrava più bidimensionale, mentre quella maschile era più poliedrica, così da piccina tendevo a identificarmi con protagonisti maschili perché facevano cose più interessanti. In quest'ottica, la piccola Emma ha colto fin dalle prime righe la mia attenzione. In secondo luogo, avere l'opportunità di lavorare con le splendide immagini dell'archivio Aamod e Luce Cinecittà per me aveva un grosso valore, esplorare l'archivio mi ha permesso di scoprire tante cose e nutrire occhi, orecchie e cuore, che non fa mai male.
Una ragazza degli anni Cinquanta del secolo scorso e una degli anni Venti di questo secolo. Cosa avete (o non avete) in comune lei ed Emma, la protagonista?
Di sicuro non abbiamo in comune la fortuna, perché quella la crea il contesto e il mio, grazie a tante donne che stanno fra gli anni suoi e gli anni miei, è sicuramente migliore. In comune un po' di testardaggine e impulsività, soprattutto di fronte a ciò che non si ritiene giusto. È una situazione che non ho mai vissuto in prima persona perché, fortunatamente, le cose ora sono parecchio cambiate. Un conto è avere consapevolezza della storia, un altro è ascoltare chi sta vivendo quella situazione, chiudere il libro perché devi fare altro, ma portare con te la protagonista e la sua vita e...arrabbiarti. Si, mi arrabbiavo molto per la situazione che doveva vivere e speravo sempre che riuscisse a scappare, a essere ciò che voleva e ad avere così una catarsi con lei. Ma l'autrice mi ha donato molto più: l'attrito del reale, che fa male, sì, ma ti dice che non è risolto niente se non provi a risolverlo anche tu.
Crede che esista ancora, per le ragazze della sua generazione, una questione femminile?
Si, è una questione stratificata, rimangono delle venature, subdole a volte, perché non sempre ci se ne rende conto. In base al mio vissuto credevo di essere giunta a una parità quasi totale ma, ancora una volta, si trattava solo del mio contesto. Ci sono ancora situazioni critiche e gravi lontane dalla mia quotidianità. Oltre a questo, credo che ci siano delle piccole convinzioni, dei piccoli "devi" o "non devi" perché sei una donna, che condizionano fortemente la percezione di sé e che sono difficili da scalfire se non si ha l'occasione di scoprire sguardi e vite diverse.
Realizzare un corto da un romanzo non è impresa facile. Come avete lavorato con Marco Maresca per arrivare alla sceneggiatura?
Ognuno di noi ha letto il libro e poi ci siamo confrontati rileggendo insieme il testo. Avevamo chiara la direzione, ma solo esplorando l'archivio siamo riusciti a dare forma alla nostra idea. Siamo partiti dal dolore che lei provava nel percepire che il destino della donna era solo quello di procreare, alla stregua di una fabbrica di vita. Abbiamo riflettuto molto sul fatto che a volte è la narrazione a creare la realtà e non viceversa. La percezione della donna e il ruolo subalterno che ha avuto per anni sono dipesi in gran parte dalla narrazione e l'interpretazione che i più hanno scelto fosse giusta. Serviva una simbologia che tutti potessero cogliere senza bisogno di parole e così abbiamo preso ispirazione da ciò che è parte integrante della nostra cultura, e in particolar modo la fatidica mela di Eva. Ad ogni mela che cade, il dolore si intensifica fino ad arrivare allo stremo delle forze. Ciò rompe questa catena di produzione e porta a una nuova rinascita, un nuovo inizio, senza giudizio, senza differenze, se vogliamo una sorta di eden di civiltà.