Quattro album alle spalle, una vita da cooperante, attivista e musicista. Una passione per il racconto del lavoro, delle nuove forme di sfruttamento. Alessandro Sipolo esce con il nuovo disco D’io Matria Vaniglia, anticipato dall’uscita in anteprima su Collettiva del video di Signor padrone, una versione 2.0 dell’antico canto di lotta.
Come è nata questa canzone e che cosa ti ha ispirato nello scriverla?
Mi sono sempre interessate le questioni sindacali, anche se oggi sembrano risultare “fuori moda” per quanto riguarda le sensibilità prevalenti. A partire dal periodo della pandemia ho cominciato a seguire la vicenda dei rider. In quel momento emerse con forza l’importanza del loro lavoro nel garantire la consegna del cibo, ma anche la loro totale precarietà, le scarse tutele rispetto ai possibili infortuni in itinere, la questione del tracciamento negli spostamenti, l’obbligo di comprarsi tutto da soli. Ho partecipato a diversi scioperi, tra il 2021 e il 2023 e così mi è venuta l’idea: recuperare un antico canto di lavoro al quale sono molto affezionato, Saluteremo il signor padrone, per fare un parallelismo tra la condizione dei braccianti e delle mondine di allora e quella dei rider ora.
Questo parallelismo emerge sia dal testo della canzone che dalle immagini del videoclip. Il messaggio è forte e chiaro: il padrone esiste ancora.
Sì, è proprio quello che volevo comunicare. Accanto al mio percorso da musicista ho un percorso da studioso di scienze sociali, per cui mi porto dietro una mia sensibilità specifica nella lettura della società, che mi fa dire che sono cambiati i soggetti, ma non i rapporti di forza. Le forme di sfruttamento sono sempre quelle, anche se oggi i lavoratori fanno più fatica a stare insieme e a percepirsi come classe. La canzone dice proprio questo: sì è vero, la società è liquida, il lavoro è parcellizzato, però alla fine le dinamiche sono più o meno le stesse. Il taglio del pezzo però è ironico, non nichilista, perché io credo che fare delle rivendicazioni comuni, usare lo strumento dello sciopero, serva davvero a migliorare le cose.
E la vicenda dei rider lo dimostra, alcuni traguardi sono stati raggiunti.
Sembra di lottare contro dei titani, ma come hanno dimostrato i rider, l'unità sindacale paga.
Interessante il fatto che tu abbia scelto di usare per il videoclip delle immagini vere che raccontano quelle mobilitazioni e in qualche modo dichiarano un’appartenenza. Come mai lo hai fatto?
Sono contento di questo riscontro. Mi interessava far diventare questo videoclip una sorta di piccolo strumento di divulgazione delle lotte sindacali. Questo è il mio quarto album e non ho mai avuto problemi a schierarmi perché la mia vita, sia quella musicale che quella extra musicale, è fatta così. Per me è semplicemente una prosecuzione di quello che faccio in altri ambiti come attivista. Nel caso specifico, volevo che ci fosse un coinvolgimento del sindacato al quale sono tesserato, la Cgil. Assistiamo in quest’epoca a una grande perdita della cultura sindacale, si preferiscono forme meno consolidate e più estemporanee, quindi con il regista del videoclip Silvano Richini abbiamo voluto che si vedessero le bandiere e gli scioperi. Non un’allegoria, ma le immagini autentiche.
Come già si diceva prima, quest’ultimo album D’io Matria Vaniglia è la prosecuzione di un percorso di impegno, in controtendenza rispetto alla predisposizione di molti cantautori contemporanei, che scelgono invece la strada dell’introspezione, del racconto di una dimensione di crisi sì, ma individuale. Qui invece c’è il desiderio di recuperare una voce collettiva.
Ho sempre privilegiato il racconto di storie che avessero valenza collettiva, perché semplicemente è la mia sensibilità che mi porta lì, e quindi anche in questo caso la scelta è stata questa. Certo, è una sensibilità estremamente minoritaria, prevalgono racconti di altro tipo. Io non mi sento, come dire, più impegnato di altri, però ho ben chiaro quali siano per me le cose più importanti di cui cantare.