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Di seguito un estratto dai "Diari 1988-1994" di Bruno Trentin pubblicati da Futura editrice nel 2017 e curati da Iginio Auriemma. Sono pagine dense, articolate e intime che raccontano un passaggio cruciale nella storia del nostro paese
Martedì 6 luglio 1993
Sabato scorso è stata faticosamente raggiunta un’intesa sulla struttura della contrattazione e sul mercato del lavoro. Ha enormi lacune. È piena di ambiguità e di barocchismi ma sono convinto che sia nelle condizioni date la migliore intesa possibile e che essa segni in ogni caso la sconfitta della linea arrogante della Confindustria, il ripiegamento delle velleità concertative e partecipative della CISL e soprattutto il superamento del maledetto accordo del 31 luglio (oltre che la conferma che in quel momento era stato giusto firmarlo, sia pure in uno stato di necessità).
Ma le reazioni negative di alcuni compagni mi hanno ferito, per la componente di trasformismo che emergeva dietro un apparente intransigenza su alcuni principi e su alcuni contenuti dell’accordo. Vedo risorgere accanto al delirio di Bertinotti, stancamente ripetuto come in una commedia dallo spartito conosciuto, manovre di basso profilo dove vecchi opportunisti spudorati come Brutti si mescolano con persone che amo e rispetto come Paolo Lucchesi
E la stanchezza mi invade all’idea di dovere ancora fare fronte con conflitti in cui la posta in gioco – il potere, le alleanze per il potere, lo scarico della responsabilità – è malamente nascosta da una finta battaglia sugli obiettivi del sindacato. Sento molto cinismo e molte sceneggiate in questi conflitti e non vedo l’ora di urlare e di dimostrare nei fatti la mia totale estraneità morale e culturale nei confronti di quest’atmosfera da basso impero che invoca la democrazia per coprire i suoi intrighi. Più presto lascio e meglio sarà.
Venerdì 9 luglio 1993
Forse vado meglio. Così mi dicono, anche se non me ne accorgo. Sento come una ferita non tanto l’accordo che è stato raggiunto e che spero verrà ratificato dal voto dei lavoratori – pochi – che partecipano alla consultazione, ma la ripetizione stanca delle sceneggiate dell’anno scorso: le falsificazioni degli oppositori ormai votati alla scissione, i deliri che crescono con l’indebolimento degli argomenti, l’identificazione con le tesi dei più scemi fra i portaborse del padronato pur di potere infangare il sindacato quando si avverte l’impotenza dei propri argomenti. E poi il diffondersi di una lotta politica che potrebbe essere davvero di tipo nuovo e coincidere con una ricerca, di un trasformismo che asservisce la battaglia dell’idea alla più miserabile lotta per il potere (essere piazzato per la spartizione delle spoglie).
Alcuni esemplari umani di questa sempre crescente trasmutazione sono davvero impressionanti e sorprendono persino me che pure avevo assistito a tante loro giravolte. Il dramma è questo miscuglio di burocrazia e di opportunismo dal quale scompare ogni passione militante, ogni entusiasmo, ogni spirito di servizio. Tutto diventa calcolo senza passione, senza capacità di anteporre un’idea alla propria collocazione personale. Salvo in qualche caso la riscoperta tardiva del privato e, appunto, come sconfitta. Per questo vivo questi giorni, così diversi da quelli successivi al 31 luglio, come un calvario. Perché la ripetizione della sceneggiata in chiave meno drammatica e più farsesca risulta per me ancora più drammatica; perché colgo in questa ripetizione un’aria in cui domina il calcolo e la dissoluzione dell’indifferenza spesso cinica della maggioranza.
Proprio in ciò non trovo lo spazio per un vero rinnovamento – con un’anima – e un progetto, del gruppo dirigente della CGIL. E in ciò sta il mio senso di distacco e di distanza e nello stesso tempo la mia sofferenza: queste rovine umane e morali sono anche cosa mia e ne porto una parte di responsabilità. Le settimane passate sono state come è naturale fortemente segnate dalle trattative con il governo (con Ciampi certamente più limpido e più disinteressato di Amato e della sua banda) e dalla lotta politica che le ha accompagnate dentro e fuori la CGIL.
Molte riunioni di segreteria, di delegazione del C.D. della CGIL. Un intervento – meditato – al Congresso della CISL dopo lo scandalo che ha investito D’Antoni, Benvenuto e in parte Del Turco e che costituisce un’avvisaglia di nuovi attacchi – anche fondati – al sindacato e alle sue forme di consociazione con un sistema di potere corrotto. La CGIL è stata solo scalfita dagli episodi più vergognosi di corruzione che riguardano persone e non gruppi dirigenti, ma è stata non solo marginalmente coinvolta in alcune sue strutture nel sistema consociativo degli enti pubblici, delle quote di servizio imposte ai lavoratori – senza servizio – degli enti bilaterali gestiti con il padronato.
Sono tornato al Gran Sasso: l’Iskra con Franco, le due Generazioni con Antonio – lo Spigolo di Paoletto con Franco e Antonio – e finale dell’Iskra. Sono ancora vivo quando affronto le difficoltà. Leggo qualche saggio qua e là con molto disordine. Riprendo Touraine – finisco «The work of Nations» di Reich. Ho cominciato «Il pensiero politico di Max Adler» di G. Maccaroni. Per distrarmi – per modo di dire – dopo una raccolta di racconti di Montalban su «Storie di Fantasmi» – ho scoperto e sto scoprendo Philip Dick. Sono solo al suo terzo libro: dopo «Il Cerchio rosso» (mi pare), «La svastica sopra il sole», che mi ha molto coinvolto e poi, mi pare «L’Homme venu du Centaure» – forse il più impressionante. Penso al mio saggio, semmai lo scriverò.
E lo immagino adesso come una rilettura all’indietro. Partendo dal saggio su Gramsci mai pubblicato – per passare alle ambiguità della Terza Via al socialismo come orizzonte compiuto – e per risalire poi a Lenin – comunismo e anarchia di fronte alla rivoluzione Tayloristica e al movimento consiliare. E da lì alle due anime della sinistra marxista (Korsch, Adler, Bauer ecc.), a Lassalle e Marx e alle due anime in Marx. Per risalire alle due anime dell’uguaglianza e della libertà sulla Rivoluzione francese. Condorcet, Robespierre – e negli utopisti inglesi. Owen e il socialismo comunitario come padre del «Guild socialism». L’uguaglianza delle opportunità e il ruolo delle associazioni comunitarie come filo rosso di una sinistra libertaria che si scopre senza orizzonti conosciuti, senza modelli di società da inverare nella fatale evoluzione della storia. È stato poi questo il percorso della mia ricerca in questi anni e mi sembra giusto fare un’operazione di verità anche sul percorso che ho effettivamente compiuto.