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A Roma, lo sappiamo, si mangia. Ovunque, a qualsiasi ora, è un trionfo di pizzerie, gelaterie, bar, tavole calde. Il GRA si potrebbe ribattezzare Grande Ristorante Anulare. Via i negozi tradizionali, soprattutto dal centro, via le botteghe storiche: questo è il tempo della ristorazione. Non ce n’è per nessuno. Dunque nessun lamento sterile sulla sparizione delle librerie – di catena, indipendenti o dell’usato – che in passato sono state una parte fondamentale del tessuto sociale e culturale della città (proprio come i teatri e i cinema, su cui è in corso da settimane un acceso dibattito per salvarli) ma una semplice constatazione, la presa d’atto che è questo è il Giubileo dei non lettori.
Librerie sparite
La desertificazione – iniziata nella prima decade dei Duemila, quando alla guida c’era il sindaco Gianni Alemanno – ha coinvolto tutta la città, ma il centro storico è stato quello che ha subito le perdite maggiori. Di quindici librerie che erano presenti in tutta l’area, ne sono rimaste appena due – Altroquando e Fahrenheit 451, a cui si è aggiunta due anni fa Spazio Sette, nell’orbita Ubik – in un’area che è grande quattro volte il centro di Milano. Facciamo qualche nome dei caduti? Amore e Psiche, Bibli, Croce, Flexi, Herder, Remainders, Arion Veneto, Odradek, Libreria del Pellegrino, Anglo-American Book, ma anche tre Feltrinelli (Red a Via Tomacelli e quelle in Via del Babuino e a Galleria Sordi). Allargando lo sguardo ad altre zone di Roma, l’ultima a chiudere in ordine di tempo è stata la libreria Bookish, a Montesacro. Prima ancora c’era stato il trasferimento a Gagliano Aterno, in Abruzzo, della Simon Tanner, la storica libreria dell’usato del quartiere Appio Latino, gestita da Rocco Lorusso e Vincenzo Goffredo. I motivi della desertificazione? Costi insostenibili, mancanza di sostegni e detrazioni, offerte convenienti di Amazon, residenti ormai rari, lettori scomparsi (siamo un Paese dove si pubblicano circa 80mila novità l’anno, ma di cui soltanto tremila superano le duemila copie vendute). Tra i mestieri uccisi dalla storia ci sarà anche il libraio? Forse un giorno, ma non ancora, non adesso. Il problema è Roma.
Lettori estinti
Nella Capitale il lettore ha smesso di girare perché le librerie che frequentava sono state chiuse, le biblioteche arrancano (nel 2019 i lettori dei 43 istituti capitolini erano 736mila, nel 2024 sono stati poco meno di cinquecentomila, un terzo dei lettori è sparito) e fiere come ‘Più libri più liberi’ (su cui da anni i librai romani chiedono lo spostamento della data perché farla nel periodo di Natale indebolisce la già precaria situazione economica) non offrono alcuno spunto nuovo. Eppure, al suo interno, Roma ha una comunità letteraria composta di gruppi di lettura, festival e rassegne (pensiamo a Libri Come o a InQuiete) corsi e scuole di scrittura, energie che potrebbero rianimare il panorama culturale, se fossero sostenute economicamente. A partire da un investimento sui luoghi di aggregazione letteraria.
Alzi la mano chi si ricorda di Palazzo Incontro, in via dei Prefetti. Dieci anni fa era uno spazio polifunzionale che comprendeva la libreria Fandango, la caffetteria con sala ristoro e alcune sale dedicate alle mostre di fotografia e fumetti. Migliaia i fruitori di quello spazio, che accorrevano per ascoltare scrittori e artisti, entrando a far parte di una comunità. Roba da capitali del Nord Europa. Infatti, alla scadenza della concessione per la gestione dello spazio, l’immobile è tornato in mano alla banca che gestiva il fondo in cui erano confluiti gli immobili della Provincia di Roma. Da allora l’edificio è abbandonato.
Poco più giù, in Piazza dell’Orologio, c’era la Casa delle Letterature. C’è ancora, ma da quando è entrata nel circuito delle Biblioteche di Roma, si è indebolita dal punto di vista della programmazione. Sia chiaro: nessuno pretende di avere un Circolo dei Lettori come quello di Torino, ma neanche questa desolazione. Spicca l’assenza di volontà politica e di capacità organizzativa, causata in parte dalla mancanza d spazi idonei.
Biblioteche (semi) estinte
Come se non bastasse, nell’anno del Giubileo (dei non lettori) stanno chiudendo anche la maggior parte delle Biblioteche di Roma. Sono ben 21, su 43, quelle interessate dai lavori di manutenzione con i fondi del Pnrr. Gli interventi, finanziati con 17,5 milioni di euro, riguardano l’efficientamento energetico, la riqualificazione e la rifunzionalizzazione delle strutture.
Le chiusure sono già iniziate. Le biblioteche interessate sono: Tullio De Mauro e Villa Leopardi (II Municipio); Ennio Flaiano (III Municipio); Aldo Fabrizi, Fabrizio Giovenale e Vaccheria Nardi (IV); Gianni Rodari e Teatro Quarticciolo (V); Borghesiana, Rugantino e Collina della Pace (VI); Raffaello (VII); Pier Paolo Pasolini (IX); Sandro Onofri ed Elsa Morante (X); Longhena (XII); Cornelia e Valle Aurelia (XIII); Franco Basaglia e Casa del Parco (XIV); Galline Bianche (XV). Seguendo il criterio della prossimità, dove è stato possibile, il personale e i materiali delle biblioteche sono stati trasferiti in sedi sostitutive. Lo scrittore Paolo Di Paolo qualche giorno fa ha ricordato: “Questi piccoli granai dello spirito, in una città come Roma, in cui le sale studio non sono numerose, diventano luoghi di socialità e di confronto”. Ma i granai oggi si stanno svuotando. Il panorama è deprimente. Roma soffre della mancanza di un progetto culturale di ampio respiro, condiviso dalle istituzioni, in cui i cittadini possano riconoscersi. Sostenere le librerie e i luoghi di aggregazione deve tornare ad essere una priorità. Nessuna intelligenza artificiale potrà farlo al posto nostro.