Alle 12 e 45 di ieri, 26 giugno, è venuto a mancare Elio Giovannini, già segretario confederale della Cgil e segretario nazionale Fiom, presidente dell’Ires, deputato al Parlamento. Lascia la moglie Silvana e tre figli Roberto (già giornalista de la Stampa), Fabio (insegnante) e Bianca (cantante e cantautrice). Nato a Roma il 20 dicembre 1929, Elio comincia l’attività politica aderendo al Psi e divenendone funzionario.

Con la scissione del 1964 passa al Psiup (Partito socialista italiano di unità proletaria). È, nel 1969, tra i leader dei metalmeccanici, protagonisti dell'autunno caldo. Nel 1970 entra nella segreteria nazionale della Cgil dove rimane per quasi dieci anni, fino alla sua elezione alla Camera dei deputati con la Sinistra indipendente.

Conclusa l’esperienza parlamentare, nel 1987 rientra in Cgil con il ruolo di direttore dell’Ires. Era una persona colta, interessata a leggere e a imparare, “una persona speciale, sul piano umano prima ancora che sindacale”, nelle parole di chi lo ha conosciuto.

“Il mio viaggio nel secolo breve - raccontava lui stesso nell’introduzione al volume La farina e il lievito. Idee, percorsi, ricordi, a cura di Luigi Falossi e Fabrizio Loreto (Ediesse 2008) - è stato straordinariamente fortunato. Mi sono trovato in almeno due momenti importanti della nostra Storia - quella con la S maiuscola - prima il dopoguerra, con la vittoria della Repubblica, la sconfitta della sinistra e il consolidamento democristiano dei vecchi poteri; poi la grande stagione di riscossa democratica che alla fine degli anni '60 ha cambiato il paese. (…) Dentro questa storia sono passato anch’io, e resto convinto che mezzo secolo di lotte della gente nostra, dei lavoratori italiani, poteva e doveva avere una conclusione diversa. E che, tenendo realisticamente conto dei rapporti di forza, nel 1945, forse nel 1956, nel 1970, c’erano le condizioni per una profonda trasformazione della società, per una rottura democratica del vecchio Stato”.

Nella postfazione al volume è Paolo Giovannini a tracciare “i temi ai quali via via Giovannini ha prestato crescente attenzione”. “L’ecologismo espresso in Parlamento - scrive - ha le sue radici nelle battaglie di Giovannini per la qualità del lavoro in fabbrica, per le condizioni, ambientali e no, nelle quali si esercita l’attività lavorativa, per i temi della salute, in fabbrica ma anche fuori, sul territorio, che via via erano venuti arricchendo la sua agenda sindacale.

L’attenzione ai diritti delle persone, al di là delle classi sociali e delle categorie produttive cui appartengono, si sviluppa a partire da una sofferta e controversa partecipazione ai movimenti degli anni Settanta, ai contatti e ai confronti con il femminismo, a una declinazione politica del personale e del vissuto individuale (…). Un’attenzione che viene via via a incrociarsi con le trasformazioni del mondo del lavoro e della stessa vita sociale, portando Giovannini a misurarsi su terreni (…) tipicamente postmoderni: rappresentare la molteplicità e le differenze dei lavori più che il solo lavoro storico; riconsiderare la relazione, oggi sempre più confusa, tra i tempi del lavoro e del non lavoro - come peraltro aveva già fatto il sindacato nella stagione delle riforme degli anni Settanta; far transitare il tradizionale sistema di welfare lavorista verso un progetto di riconoscimento universalistico dei diritti di cittadinanza”.

“È proprio nella battaglia per il reddito minimo garantito - conclude Paolo - di nuovo minoritaria come è nel destino dell’uomo, che Giovannini conclude il suo percorso pubblico. Ancora una volta si ritrova al fianco di pochi intellettuali, di qualche raro politico e di ancor più rari sindacalisti, e ancora una volta le sue battaglie conoscono il sapore amaro della sconfitta. Ma, come insegna questa sua storia personale, oltre che la Storia pubblica, anche le ripetute sconfitte hanno e conservano la capacità - che prima o poi qualcuno raccoglie - di far crescere e lievitare per il meglio convivenza sociale e convivenza democratica”.

“Elio Giovannini è un po’ come Vittorio Foa - scriveva su l’Unità Stefano Bocconetti nel novembre del 1988 - la loro storia sì fonde con quella della Cgil. Li considerano i padri della patria, quei vecchi - un aggettivo che nessuno dei due rifiuta - saggi che si chiamano quando c’è necessità”.

“Vedi - gli diceva Elio in quella bella intervista - noi che proprio perché più radicati nel mondo del lavoro, oggi subiamo una crisi più ampia, per la stessa ragione abbiamo più possibilità di uscire dalla crisi. Proprio perché siamo sempre stati un sindacato movimento, abbiamo mille occhi, mille orecchie per poter captare il nuovo. E in questo siamo avvantaggiati rispetto ad altri”.