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Una settimana stracolma di appuntamenti con presentazioni di libri, spettacoli teatrali, concerti, incontri con magistrati, giornalisti, studiosi della criminalità organizzata. "Trame" è molto più che un festival, è l'evento che da undici anni trasforma Lamezia Terme nella città calabrese dove ci si ritrova per testimoniare un impegno concreto, e quotidiano, per contrastare le mafie. Un luogo fisico e dello spirito, dove cittadini, istituzioni, imprenditori, operatori sociali e culturali ritrovano la forza e le energie per continuare a dire NO. Nuccio Iovene è il presidente della Fondazione che organizza il festival, insieme all'Associazione Antiracket.
Iovene, il direttore artistico del festival Giovanni Tizian scrive che “Trame è innanzitutto un’idea, di Calabria e d'Italia”. Qual è questa idea?
“Trame” nasce a Lamezia Terme, una città importante della Calabria, con un’amministrazione sciolta tre volte per mafia, quindi una città segnata nella sua storia da tante vicende, di cui parleremo anche nel corso del festival, perché c’è un 1992 che ha riguardato anche Lamezia. Quindi non è un luogo neutro. La scelta di fare qui un festival sulle mafie, e poi farvi nascere attorno la fondazione che lo promuove e tutte le altre attività connesse - quelle nelle scuole, “Trame 365” che anticipa e segue il festival- testimoniano l’esistenza di una realtà che alle mafie si oppone, una società civile che ha reagito. Ci sono stati momenti in cui ha prevalso l’idea di contrasto alla criminalità organizzata e momenti in cui la guardia si è abbassata e la mafia ha preso il sopravvento, non c’è stato un andamento lineare. Per queste ragioni, il fatto che il festival si faccia qui e non a Venezia o a Milano è doppiamente significativo, perché parla da dentro. Basta ricordare che la ‘ndrangheta è ormai individuata da tempo come la più potente tra le organizzazioni criminali italiane e mondiali.
Lamezia Terme è un territorio molto particolare e, come si diceva, se ne parlerà anche nel corso del festival, per esempio nell’appuntamento “La mafia nel Comune. 30 anni di complicità tra clan e politica”. Come lo avete visto cambiare in questi undici anni dal vostro punto di osservazione privilegiato? Anche il pubblico di “Trame” è cambiato?
Il festival ha avuto da subito una grande partecipazione e attenzione da parte del pubblico cittadino, ma anche un forte richiamo regionale e nazionale. Sono tanti gli ospiti e le persone che in quei cinque giorni vengono a Lamezia per seguire la settimana di appuntamenti. Abbiamo registrato come preziosissimo il nascere di un movimento di volontari, giovani che si candidano da tutta Italia e nei giorni precedenti al festival vengono qui. Senza di loro quest’evento che coinvolge migliaia di persone non sarebbe possibile. E poi ci sono i tanti ospiti importanti che partecipano ogni anno. La nostra iniziativa è stata ed è un crocevia di magistrati, investigatori, giornalisti, scrittori, studiosi delle mafie, associazioni e realtà sociali che con le mafie si sono incrociati e hanno deciso di combatterle, o hanno sperimentato sulla propria pelle cosa voglia dire averci a che fare. Non è un caso che il festival sia nato da una felice intuizione dell’amministrazione comunale dell’epoca (2011) guidata da Gianni Speranza, e dell’associazione lametina antiracket, che era e tutt’ora è una delle più attive in Calabria. All’epoca l’assessore alla cultura di Lamezia Terme era Tano Grasso.
“Novantadue. L’Italia di oggi trent’anni dopo le stragi” è il titolo di questa undicesima edizione. Provando ancora a giocare con i titoli in calendario, ne prendiamo a prestito uno tra i primi: Da che parte stiamo – a che punto stiamo- trent’anni dopo?
Sono stati fatti dei passi avanti enormi nella lotta al contrasto della criminalità organizzata, nella definizione di misure e norme per rafforzare questa azione, va detto. Però le mafie sono ancora ben presenti, non possiamo pensare che l’abbandono di una strategia stragista le abbia fatte sparire. Sono state in grado di cambiare, si adattano facilmente ai nuovi scenari. La politica, le istituzioni, la società devono essere in grado di capire questo fenomeno e di dare risposte sempre nuove. Quindi, da un lato il bilancio è sicuramente positivo, ma non si può pensare che la partita sia chiusa o sia in via di soluzione perché, come si è visto, gli appetiti della criminalità organizzata verso i fondi del Pnrr sono voraci, la sua penetrazione nelle aree di maggiore sviluppo economico e industriale è profonda. Pensiamo alle recenti inchieste da Roma in su che hanno visto coinvolte vere e proprie cosche di ‘ndrangheta, e testimoniano una pervasività molto forte, un fiume di denaro sporco riciclato nell’economia pulita. Mancano ancora strumenti legali efficaci in maniera definitiva. Certamente c’è da fare un bilancio positivo sul cammino fatto, ma anche interrogarsi su cosa fare per il futuro. Teniamo presente che il '92 è l’anno non solo delle stragi, ma anche dell’inizio di Tangentopoli. Due eventi che insieme hanno cambiato profondamente il volto dell’Italia, come fino a quel momento lo conoscevamo. E quindi, tornando agli inizi del nostro ragionamento, il ‘92 di Lamezia Terme si apre con un omicidio eccellente: erano i primi giorni di gennaio quando vennero uccisi il sovrintendente di polizia Aversa e sua moglie, in maniera barbara mentre una sera uscivano di casa. Il sovrintendente era uno degli investigatori più attivi nella lotta alla criminalità organizzata. Qualche mese prima si era verificato un altro episodio drammatico: l’assassinio di due netturbini, all’alba del 24 maggio del ‘91 con un kalashnicov. Due giovani incensurati e lavoratori, sul cui delitto non si è mai riusciti a fare luce, così come molte ombre sono rimaste su quello dei coniugi Aversa. Dentro la grande Storia, c’è un’altra storia che riguarda la ‘ndrangheta lametina e il sangue sparso in quegli stessi anni.
Dai ragionamenti sulla storia a quelli sull’attualità. Tra gli incontri in programma c’è anche la presentazione del libro di Paolo Lattanzio "La pandemia mafiosa", edito da Rubbettino, in cui si presenta la prima relazione su mafie e Covid-19 approvata all'unanimità dalla Commissione antimafia, a giugno del 2021. Qual è il ruolo specifico – e inedito- che le mafie giocano da quando è esplosa la pandemia?
Sicuramente questo nuovo ruolo si è visto in molteplici occasioni, per esempio la partita delle mascherine. Ma le mafie hanno avuto un grosso peso anche nel modo di riorganizzare le città durate il lockdown, nelle situazioni più difficili hanno fatto sentire la loro presenza. Come festival, interrogarci sui fenomeni nuovi e offrire spunti di riflessione è proprio uno degli obiettivi che abbiamo, ragionare sull’attualità immediata oltre che sulla storia.
Continuiamo a scorrere il programma. Tra i concetti che animano questa edizione, ma anche lo spirito di lavoro di “Trame”, c’è quello dell’antimafia di prossimità, ovvero come costruire strategie quotidiane e condivise per combattere la mafia nella vita di tutti i giorni.
L’attività della Fondazione, a parte i cinque giorni in cui si tiene il festival, va avanti 365 giorni all’anno, con l’obiettivo di sensibilizzare e organizzare una risposta civile alle mafie. C’è un’azione di contrasto, a sostegno dei professionisti e degli imprenditori vessati quotidianamente dal racket, che si pone affianco a quella della polizia, della magistratura, delle istituzioni nel loro complesso. E poi c’è un’azione che deve riguardare i cittadini, che devono scoprire che è possibile ribellarsi, trovare insieme la forza e i modi per farlo. L’associazione lametina antiracket ha accompagnato molti imprenditori nell’azione di denuncia, o nel sottrarsi alla morsa nella quale inizialmente erano caduti: portando a processo, costituendosi parte civile nel percorso di fuoriuscita dal racket, cosa che ha consentito anche condanne importanti e l’annientamento di intere cosche. Tutto questo permette la nascita di iniziative e mobilitazioni positive. Nello stesso periodo in cui il festival è nato, undici anni fa, in uno dei quartieri più esposti alla criminalità organizzata, fu inaugurato un parco intitolato a Peppino Impastato. Alcuni locali sono stati destinati alla fondazione e all’associazione e oggi sono la sede del “Civico Trame”, uno spazio in cui tutto l’anno si svolgono iniziative rivolte alla città e in particolare ai giovani. Certo, queste conquiste non sono mai acquisite una volta per tutte. Qualche anno dopo la felice esperienza dell’amministrazione Speranza si è ritornati a un terzo scioglimento per mafia. C’è un lavoro permanente da fare. Non bisogna mai abbassare la guardia.
Arrivando sino all’ultimo giorno – il festival si tiene da mercoledì 22 a domenica 26 giugno- il programma è estremamente ricco: libri, mostre, dibattiti, spettacoli teatrali. Perché la mafia ha questo “fascino” narrativo così forte?
Se guardiamo alle vicende italiane e mondiali su un arco temporale più ampio ci rendiamo conto che sono stati fatti passi da gigante e che c’è stato un rovesciamento dell’approccio al tema. Fino a un po’ di tempo fa, la vulgata era che la mafia non esiste, è un’invenzione di quelli che “si fissano e la vogliono combattere”. Io ho sentito sindaci, fino a vent’anni, fa dirlo anche quando erano interrogati dalla Commisione anitmafia. Parliamo di un fenomeno relativamente recente. Le stragi del ‘92 hanno invece squarciato definitivamente un velo. Il fatto che sia cresciuta una letteratura, un’attenzione, una molteplicità di modi di raccontare e affrontare il tema delle mafie, è testimonianza di questo cambio epocale nella percezione. Un dato è stato finalmente acquisito: la mafia esiste e non bisogna convivere con essa. Bisogna capire come è fatta e combatterla, trovare i modi per farlo. Tra gli spettacoli in programmi al festival ci saranno un monologo di Stefano Massini, il bellissimo “A Chiara” di Jonas Carpignano, un film che racconta la storia di una ragazza di Gioia Tauro che scopre di essere appartenente a una famiglia mafiosa, con tutte le difficoltà e il contrasto interiore che questo implica (l’appartenenza alla famiglia vs il rigetto di un sistema valoriale che di quella famiglia è proprio). E poi un omaggio più che doveroso a Letizia Battaglia e diversi artisti lametini, tra cui il giovane musicitsta Naip. Tanto, tanto da vedere e ascoltare per chi vorrà venire a trovarci.