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Il 14 ottobre 2021 ricorre l’anniversario della nascita di Luciano Lama. La Cgil ha deciso di ricordarlo con una serie di iniziative, la prima delle quali si terrà proprio il 31 maggio, data in cui come da tradizione si ricorda la sua scomparsa (1996) alla presenza del segretario generale Maurizio Landini. Un convegno con il quale ripercorrere attraverso relazioni storiche, testimonianze e interventi gli anni della segreteria generale della Cgil.
Lama è stato un coraggioso partigiano, uno dei più prestigiosi sindacalisti della storia d'Italia, un apprezzato uomo politico e “un fedele servitore delle Istituzioni” come lo ricordò l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Per uno di quei paradossi di cui è piena la storia, il ragazzo romagnolo, nato a Gambettola (Forlì) e laureato in Scienze politiche, destinato a ricoprire la carica di segretario generale della Cgil per ben 16 anni, non pensava certo di fare il sindacalista. Dopo la Resistenza, nella quale perse il fratello Lelio, fu il Comitato di Liberazione provinciale a scegliere per lui.
Mai scelta si rivelò più lungimirante; se ne accorse subito Giuseppe Di Vittorio, storico leader della Cgil, che già nel 1947 lo volle con sé, giovanissimo, nella Segreteria confederale. Poi un percorso importante: Segretario generale dei chimici nel 1952 e dei metalmeccanici nel 1957 quindi nuovamente in segreteria confederale e nel 1970 Segretario generale della Cgil. Carica che ricoprì fino al 1986.
Sono soprattutto gli anni della segreteria confederale quelli che il convegno del 31 maggio vuole approfondire, ma senza dimenticare che la biografia sindacale di Lama segue il corso di tutta la storia della prima Repubblica e ne incarna i valori migliori, più solidi. Attraverso Lama possiamo leggere in controluce la storia del Paese: dal contratto mezzadrile che firmò nel 1945 come segretario della Camera del Lavoro di Forlì durante la grande battaglia contadina che porterà alla riforma agraria al referendum del 1953 sulla piattaforma rivendicativa per il contratto dei chimici, che rappresentò uno dei primi, fragili momenti di democrazia sindacale; dalle lotte degli elettromeccanici del 1960-62 che segnarono il risveglio operaio alla grande stagione dell'autunno caldo e dei Consigli di fabbrica; dall'unità sindacale dei primi anni Settanta che visse da assoluto protagonista all'accordo sul punto unico di contingenza con Giovanni Agnelli nel 1975; dalla fermezza con la quale schierò la Cgil a difesa dei valori democratici contro lo stragismo di destra e il terrorismo di sinistra alla contestazione che dovette subire all'Università di Roma nel 1977 che rivelò una frattura generazionale; dalla grande occasione mancata della strategia dell'Eur del 1978 per affrontare la crisi economica all'infinita battaglia sulla scala mobile che rese complessi, e per certi versi dolorosi, gli ultimi anni della sua segreteria; per finire con il tentativo più maturo e costante della sua segreteria generale: quello di offrire al Paese, a a partire dal Congresso della Cgil di Bari del 1973 – il momento sindacale più bello della mia vita, dichiarò - un modello di sviluppo alternativo basato sulla piena occupazione e sullo sviluppo del Mezzogiorno mentre la terza rivoluzione industriale cambiava per sempre modi di produzione, organizzazione del lavoro e mentalità collettive. Processi storici che Lama intuì, lesse in divenire e cercò di affrontare con i ritardi e le difficoltà di una generazione che affondava le sue radici nel Novecento fordista mentre lo sviluppo si incamminava in una strada di innovazione epocale che stiamo ancora percorrendo e di cui, ancor oggi, fatichiamo a capire i lineamenti.
Ricordare Lama significa, dunque, riflettere sul Paese ma anche sul sindacato, sui suoi valori, sul suo ruolo in una democrazia. Parlare di Luciano Lama significa discutere di unità sindacale, del valore e dell’originalità del livello confederale, dell’importanza della convivenza delle strutture territoriali con quelle verticali del sindacato, di democrazia in una duplice accezione: la democrazia nel sindacato e la democrazia italiana rafforzata dall'azione del sindacato.
Un sindacato sempre aperto alle novità, pensiamo alla stagione dei delegati e dei Consigli di fabbrica, ma che conservava nel livello confederale e nelle strutture territoriali il cuore della sua originalità: portare a sintesi e riunificare le esigenze diverse, centrifughe e qualche volta configgenti di un mondo del lavoro complesso e in continuo divenire. Era questa la vera anima della Cgil che Lama voleva salvaguardare contro ogni massimalismo o corporativismo.
Lama voleva il sindacato autorevole e in costante collegamento con i lavoratori, capace di tutelarne gli interessi ma sempre operando, forte della sua autonomia, per il rafforzamento di tutta la società e della democrazia repubblicana, che rappresentava il fine e non il mezzo dell'azione dei lavoratori. Un sindacato, dunque, capace di un interesse nazionale perché l'emancipazione del lavoro, di quel lavoro sul quale era fondata la Repubblica, andava di pari passo con lo sviluppo di tutto il Paese, delle sue forze produttive, del suo progresso sociale e morale. Senza questa dimensione nazionale del sindacato non si capirebbe la scelta di Lama di ergere la rappresentanza sociale come una barriera del terrorismo. La storia della conquista della democrazia era stata la storia dell'antifascismo e della Resistenza e i lavoratori erano stati l'anima e il corpo della Resistenza. La Costituzione, la democrazia erano la conquista più preziosa per la quale avevano combattuto e avevano pianto i loro lutti. Di conseguenza sarebbero stati i lavoratori nelle ore più buie della Repubblica a difendere democrazia e Costituzione.
Ricordare Lama, infine, significa anche ricordare la scelta europeista della Cgil. Membro della delegazione della Cgil alla Fsm, Lama fu tra i protagonisti del progressivo avvicinamento della Cgil agli altri sindacati occidentali prima cercando di avviare un complesso processo di cambiamento della Fsm e poi aderendo alla Ces portando finalmente e definitivamente l'organizzazione all'interno della casa comune europea.
Il convegno del 31 maggio non è solo un atto dovuto verso un protagonista della vita pubblica italiana, uno dei più influenti, sicuramente uno dei più amati. E’ un modo per riflettere sull’Italia che attraversa una crisi molto acuta, dalla quale sarà difficile uscire; e anche sui valori identitari della Cgil: la tensione costante tra un'anima contrattualistica e una vocazione politica, il difficile equilibrio tra istanze verticali e orizzontali, l'idea dei lavoratori come parte integrante della Repubblica e la sua difesa come precondizione per uno sviluppo giusto e solidale, il piano dei sacrifici ma anche della lotta e quello altrettanto necessario del livello istituzionale, la forza dell'utopia e il pragmatismo delle riforme perché al centro c'è sempre il cittadino-lavoratore con le sue necessità, la sua condizione, la sua libertà.