PHOTO
Sergio Zavoli, padre nobile del giornalismo italiano, si è spento oggi a 96 anni nella sua casa alle porte di Roma. Di seguito pubblichiamo un testo ricco e partecipato sul ruolo del sindacato – e della Cgil in particolare – pubblicato su Rassegna Sindacale in occasione del XIV congresso della Confederazione che si è tenuto a Rimini nel 2002.
In altri tempi non ho lesinato le mie critiche, per quel che potevano valere, a un sindacato non di rado sottoposto alle chiavarde dell'ideologia, alle tutele dei partiti, alle strategie della politica. Con ciò non intendevo togliere nulla a un ruolo di promozione, salvaguardia e garanzia che, sul fronte del lavoro, ha nutrito di princìpi e di norme, di forza contrattuale e di crescita civile, di consapevolezza pratica e di coscienza etica la lotta ormai secolare per l'emancipazione dei più deboli, in ogni senso, lungo un cammino disseminato di sacrifici e dolori, di drammi e tragedie. Né, d’altro canto, la critica al sistema partitico poteva prescindere dal riconoscimento della funzione svolta dai partiti dopo la nascita della Repubblica, per promuovere nella società un'educazione civica smarrita negli anni della dittatura, per risvegliarne lo spirito democratico e richiamarla ai fondamenti etici che danno dignità alla lotta politica.
Sono stato un testimone privilegiato, potendo usare uno strumento come la radio, prima, e la tv poi, in mezzo secolo repubblicano delle battaglie legate al latifondo, alla difesa del salario, alle gabbie salariali, all’autunno caldo, allo Statuto dei lavoratori, all'impegno referendario in difesa dei diritti civili, alla difesa delle conquiste operaie contro l’avventurismo brigatista, per fare solo qualche esempio.
Da Portella della Ginestra alle lotte di Melissa e ai "giardini" di Avola, dai giorni di Reggio Calabria a quelli di Reggio Emilia, dagli scenari dello stragismo a quelli degli anni di piombo, fino al caso Moro, e poi a Ruffilli, a D’Antona, alla "sponda" realistica e previdente che tanto contribuì a portarci in Europa, è stata una storia severa, spesso aspra, fatta di duttilità e intransigenza, con qualche strappo, del resto riconosciuto e scontato sin troppo, alla moderazione. Abbiamo assistito allo sforzo di una vera e propria rivoluzione culturale che s’incentrava sull'elaborazione di nuove opportunità per affrontare i problemi del lavoro, della produttività e, in generale, dell'economia; una rivoluzione anche linguistica, rispetto al tradizionale linguaggio del sindacato, non dico al sindacalese nudo e crudo, che si confronta con parole come flessibilità e concertazione, due chiavi complesse, e controverse, per entrare nel nuovo con responsabile maturità; cui si è risposto, per dirne una, e alla svelta, con l'idea di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Di fronte a questo sindacato paziente e risoluto, che esige, dopo aver ragionato, e rispettoso di quanto ha convenuto, provo un sentimento di solidarietà civile che mi emoziona come ai tempi delle grandi battaglie per il lavoro, la sua certezza, il suo decoro, i suoi presìdi normativi, ambientali, culturali. In tempi nei quali la politica sembra perdere per strada, ogni tanto, i suoi primati di credibilità e di efficacia, di coerenza e di stabilità, questo rinnovato rigore sindacale, lungi dal porsi come una barricata, e men che meno una supplenza, si ispira ai contenuti alti della controversia sociale perché le soluzioni corrispondono a una politica, insieme, dei princìpi e dei fatti, delle idee e degli ideali, della tradizione e della modernità, del presente e del futuro, nella persuasione che mai c’è tanto bisogno di politica come quando la politica stessa sembra autorizzarci a voltarle le spalle! Non pronunciando da un palco, di fronte a una platea scontenta e inquieta, soprattutto perché le sembra che nessuno dia voce alla sua delusione, la pur plausibile denuncia di chi si dà, a buon mercato, il coraggio di chiedere, perentoriamente, dove sia la sinistra.
Non certo per campanilismo, penso a un grande italiano, un vero, grande italiano, a Federico Fellini: quando gli chiesero perché, proprio lui, fosse andato a fare il suo turno per atto di omaggio attorno alla bara di Berlinguer, disse: "Per una ragione molto semplice, perché una gran parte del mio paese crede che in certi momenti serva unirsi, non dividersi".
Proprio nello sforzo unitario del sindacato vedo rinverdire, dopo tante dimenticanze, la frase di don Milani: "La politica, uscirne insieme!". Siamo realisti, non esorcizziamo la realtà: qualcuno ha detto: "Abbiamo vinto il terrorismo, vinceremo anche la destra". È un’altra favola! Il terrorismo fu una rivoluzione senza popolo, questo governo ha il consenso di quasi metà degli italiani! Ripetiamoci, piuttosto, queste parole: "Non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere! Pensate che tutto è successo perché non ne avevate più voluto sapere!". E quanto a chi dice di volere un sindacato "apolitico", impegnato solo nella contrattualistica, in realtà ha in mente altro; come chi vorrebbe affidare i ministeri soltanto ai "tecnici", agli "esperti", ai "competenti" ha in mente una separazione che esclude il sindacato per lasciare campo libero a interessi precisi e noti. Le grandi scelte della libertà e della democrazia non sono mai state tecniche, ma politiche! Politica è stata anche la prudenza, che accompagnava l'indignazione e la ponderata fermezza di grandi leader sindacali come Di Vittorio o Pastore. I quali, proprio in questa parte d'Italia che ospita il congresso, ebbero per antesignani e seguaci i nostri Massarenti e Baldini, Miglioli e Simoncini, Santi e Lama.
Alla Cgil di queste giornate riminesi, cinghia di se stessa, del proprio laboratorio culturale e politico e decisa a generare energie per i propri specifici compiti, ma nondimeno interessata ad essere soggetto d’interlocuzione dialettica che interpreti l'aspirazione democratica a una crescita comune, vanno pensieri di solidarietà non rituali, e men che meno celebrativi.
È encomiabile una cultura come la vostra, non indurita dai cipigli, ma neppure sviata dalle favole: che non ha mai creduto alla cosiddetta fine della Storia, al secolo breve, ai pensieri deboli, ai minimalismi, al progressivo perdere il loro senso di parole come "destra" e "sinistra". Non ci è sfuggito il vostro lavoro ostinato, cioè paziente e risoluto, per avere il diritto di restare "politica" e, nella politica, sinistra; non solo perché un sindacato democratico sta, comunque, a sinistra, ma anche perché una sinistra che voglia riappropriarsi di tutta se stessa, per essere ciò che ci si aspetta che sia, non può davvero non includere, tra i primi gesti di una nuova, aperta, completa rifondazione, proprio il sindacato. Lo dico perché mentre l'identità culturale e politica della sinistra va smarrendosi, è in atto, per converso, un suo rimodellamento critico, dialettico, revisionista. Ma occorre che ciò accada nel significato proprio del revisionismo, che è quello scientifico della ricerca, dell'aggiornamento e del dibattito mai interrotto, non nella sua accezione polemica e propagandistica: la quale va lasciata a chi della politica ha un'idea perentoria e ultimativa, fatta di sentenze senza appello, ma anche di amnesie ideali, di risciacqui qualunquistici, di rinvii al cosiddetto buonsenso, senza la preoccupazione, la regola e il limite delle responsabilità da cui chi opera davvero nella politica, e ha più spine che onori, non può prescindere.
Il rinnovarsi indispensabile del sindacato, sospinto da sperimentazioni unitarie che non sacrifichino tradizione e identità, unito all’attenzione sollecita e fattiva per i non garantiti dai nuovi lavori e persino, non di rado, dai vecchi,non richiederà imbarazzi, ripensamenti, abiure: perché le sue radici nella sinistra partono dalle conquiste raggiunte in nome della giustizia e di un ideale di uguaglianza che nessuna globalizzazione mercantile potrà mai surrogare.
Per chi ha dovuto, al tempo stesso, difendersi dalla storia e provocarla, onde evitare che essa facesse della sua obiettività naturale l'alibi della sordità sociale e della cecità morale, il ruolo svolto dal sindacato nel sorvegliare i confini tra cronaca e storia, politica e partiti, equità e democrazia, benemerenza tanto più preziosa in una realtà divenuta complessa, tuttora imprecisa e per qualche verso inquietante, come quella presente. Ecco perché il Congresso della Cgil va oltre il suo significato istituzionale, pur rilevante, e il suo stesso porsi come progetto di sindacalismo nuovo e pur coerente, consapevole com'è che la rivoluzione non è più il cambiamento, bensì la velocità del cambiamento. Dire che secondo l'orologio dello psicologo, ma temo che ciò possa valere anche per quello della sociologia e della politica, siamo sempre più in ritardo rispetto a ciò che abbiamo appena pensato, è un linguaggio fino a ieri estraneo a un organismo che i suoi problemi, e i suoi successi, è stato costretto a misurarli sui secoli, sui decenni, sugli anni. Senza la pretesa, mai, di risolverli con qualche grido estemporaneo eppure fin troppo tempestivo, lanciato da un palco! Ho ancora nell'orecchio le parole di un uomo di pace: "Io vi scongiuro di essere indignati!". Ma era Luther King, e per tutto ciò che disse e fece pagò addirittura con la vita. E qui penso ai tanti uomini del sindacalismo che, per testimoniare, hanno versato il loro sangue in Italia e nel mondo.
Ora, proprio questa vostra capacità di durare, continuamente provocata da un mutamento che non ha riscontro nella storia politica, sociale, economica ed etica di tre quarti dell'umanità, ci consegna oggi una cultura sindacale in grado di far fronte a ogni nuova sfida con vigore, inventiva, efficacia. Dandovi il diritto, a voi sì, di reclamare il valore autentico della costanza, della fermezza, dell'unità. Il rinnovamento stesso della classe politica non potrà non giovarsi delle esperienze maturate nella scuola dura, e severamente selettiva, della militanza sindacale.
La Cgil, insieme con le due grandi organizzazioni consorelle, è non solo un momento centrale della vita del paese, ma anche una fonte di autenticazione e di rilancio di ciò che i nuovi scenari della modernità hanno aperto in Europa e nel mondo.
Sergio Zavoli, il ricordo di Maurizio Landini, segretario generale della Cgil