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Noi di ActionAid eravamo preoccupati per il fatto che il presidente designato della Cop28 (la conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, ndr) fosse anche l’amministratore delegato della compagnia nazionale di petrolio e gas (degli Emirati Arabi Uniti, ndr). La società civile è unita nel chiedere perché “una volpe è responsabile del pollaio”.
Ma la cosa interessante è che questa Cop offre un’opportunità unica per prendere decisioni sul principale motore del cambiamento climatico: i combustibili fossili. Crediamo che l’unica via da seguire sia un phase-out, un’eliminazione rapida, equa e finanziata dalle fossili e un veloce incremento delle energie rinnovabili. Allora, che cosa ha da dire in proposito l’Unione europea?
Campioni del clima?
È interessante notare che la Ue sembra essere bellicosa e pronta a vincere la battaglia contro i combustibili fossili. Ai negoziatori europei è stato dato il mandato di eliminare gradualmente i combustibili fossili e i sussidi alle fossili che non affrontano la povertà energetica, di abbandonare le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio come soluzione tecnologica per aumentare le emissioni, di triplicare la capacità delle rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030.
La Ue chiede addirittura l’allineamento dei flussi finanziari con l’Accordo di Parigi, che in sostanza (e in teoria) dovrebbe vietare il finanziamento di qualsiasi nuovo progetto di sviluppo dei combustibili fossili. In breve, un campione della mitigazione che vuole ridurre le emissioni di gas serra del 43 per cento entro il 2030, come prescritto dalla scienza e per mantenere vivo l’Accordo di Parigi!
Sfortunatamente lo status di campione del clima è soltanto illusorio. In primo luogo, ci sono molte scappatoie e formulazioni confuse che possono far cambiare strada a qualsiasi intenzione genuina e ambiziosa. Termini come “senza sosta” non sono chiari, non ci sono scadenze chiare né impegni tassativi sull’eliminazione graduale né sulle sovvenzioni.
Buone intenzioni, nessun vincolo
In altre parole, ci sono buone intenzioni ma senza vincoli, o comunque senza una tabella di marcia credibile. Ancora più importante, la Ue sta venendo meno alla sua responsabilità che impone una riduzione molto più rapida delle sue emissioni di gas serra.
Essendo storicamente il terzo inquinatore del Pianeta, posizione consolidata dalla sua eredità coloniale, l’Unione dovrebbe mirare a raggiungere la neutralità climatica entro il 2040 anziché il 2050, dovrebbe assumere un ruolo guida nell’eliminazione graduale dei fossili, iniziando dal carbone entro il 2030 e finendo con il petrolio entro il 2040, e aprire la strada alle rinnovabili impegnandosi a raggiungere l’obiettivo del 50 per cento entro il 2030. In un momento così decisivo, però, non sta rispettando l’ambizione dichiarata e così facendo non riuscirà a mantenere il pianeta vivibile.
È il momento dei finanziamenti
La grande tragedia per i Paesi in via di sviluppo è che si ritrovano costretti a ridurre le proprie emissioni a un ritmo più rapido rispetto a quelli sviluppati, senza ricevere alcun sostegno reale da questi ultimi.
Agli incontri sul clima di Bonn di giugno, i negoziati si sono arenati a causa delle crescenti tensioni sui finanziamenti per il clima. La sfiducia è alimentata dal costante fallimento nel fornire finanziamenti per il clima da parte dei Paesi sviluppati, che sono stati fissati arbitrariamente a 100 miliardi all’anno, una quota bassa, dato che i bisogni sono stimati in trilioni di dollari.
Metodi approssimativi
Inoltre l’obiettivo non è stato raggiunto nonostante sia stata adottata una metodologia contabile approssimativa che consente di considerare una gelateria italiana in Asia tra i finanziamenti internazionali per il clima. Allo stesso modo, il tentativo costante dei Paesi sviluppati di spostare l’onere del sostegno finanziario al settore privato è visto dai Paesi in via di sviluppo come un modo per evitare un aumento significativo e urgente dei finanziamenti pubblici per il clima.
Sebbene sia chiaro che al settore privato dovrebbe essere vietato fare nuovi investimenti nei combustibili fossili e nell’agrobusiness, che teoricamente possono mobilitare capitali aggiuntivi per la transizione, questi rimarrebbero finanziamenti effettuati per generare profitti e non dovrebbero essere contabilizzati come sostegno economico.
Ricostruire la fiducia
La Ue sembra arrivare alla Cop28 ben preparata. Il commissario europeo per l’Azione per il clima Wopke Hoekstra ha sottolineato l’intenzione dell’Unione di assumere impegni “sostanziali” per contribuire al nuovo Fondo Loss and Damage, per le perdite e i danni, si spera oltre l’impegno iniziale assunto nella plenaria di apertura, e alle energie rinnovabili. Ma per portare avanti in modo significativo qualsiasi ambizione al vertice di Dubai, le nazioni ricche devono ricostruire la fiducia con quelle più vulnerabili. E l’Europa è in una buona posizione per farlo, in quanto maggior contribuente ai finanziamenti per il clima.
Come passo successivo, non dovrebbe far dipendere nuovi impegni finanziari o contributi da altri punti all’ordine del giorno. Anche se in teoria potrebbe aver senso, nella realtà è controproducente dato il contesto generale di sfiducia, legittimato da anni di scarsa erogazione di finanziamenti per il clima.
Serve un segnale politico
Ancora più importante, l’Ue deve abbinare la sua ambizione di mitigazione a un forte segnale politico per aumentare in modo significativo i finanziamenti pubblici per il clima come parte integrante dell’obiettivo di finanza climatica post 2025. Non si può evitare: occorrono migliaia di miliardi se si vuole che riuscire a realizzare la transizione e ad adattarsi, l’aumento di cinque miliardi previsto quest’anno non farà la differenza. E il segnale politico serve adesso, alla Cop28.
Infine, è necessario che modifichi il suo approccio allo spostamento dei flussi finanziari (articolo 2.1c), che sta minando e indebolendo una disposizione piuttosto nobile. I Paesi in via di sviluppo temono legittimamente che giocherà contro di loro un doppio standard: l’attuale esclusione per i servizi finanziari dall’obbligo di adottare piani di transizione ai sensi del Csddd (la direttiva sulla sostenibilità delle catene di fornitura, ndr) dimostra che hanno ragione. Ancora più importante, questo problema rimarrà irrisolto finché non ci sarà un significativo sostegno finanziario pubblico ai Paesi più bisognosi, in linea con lo spirito stesso della Convenzione Unfccc.
Il momento della verità
Alla conferenza di Parigi (la Cop21 del 2015, ndr) i Paesi si sono impegnati a favore di una transizione giusta per garantire che nessuno venga lasciato indietro, sia a livello globale che a livello comunitario. Molti si trovano ad affrontare una catastrofe climatica devastante di cui non hanno alcuna responsabilità. Le comunità più vulnerabili all’interno di questi Paesi sono particolarmente colpite, nella maggior parte dei casi donne e ragazze.
Il mondo e l’Unione europea li hanno delusi, nonostante tutte le buone intenzioni e promesse. La Ue ha la capacità di invertire questa tendenza e di essere all’altezza dello spirito per una transizione giusta assunto a Parigi otto anni fa. E il suo approccio alla finanza climatica sarà decisivo.
Hamdi Benslama è consulente per la giustizia climatica dell’Unione europea di ActionAid