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Il 19 dicembre si è conclusa la 15esima Conferenza delle parti della convenzione sulla biodiversità (Cop15) con l’approvazione dell’Accordo globale di Kumning-Montreal, che dovrebbe dare risposte all’allarme estinzione e fermare il degrado della natura. Quattro gli obiettivi a lungo termine da raggiungere entro il 2050 e 23 quelli orientati all’azione urgente, da realizzare nel decennio fino al 2030, che dovrebbero arrestare e invertire la perdita di biodiversità, consentirne la conservazione e l’utilizzo sostenibile ed equo, garantire una giusta ripartizione dei benefici derivanti dall’impiego delle risorse e fornire i mezzi necessari per l’attuazione.
Biodiversità al centro
Al centro del piano, il principio secondo cui “la biodiversità è fondamentale per il benessere umano e per un pianeta sano, nonché per la prosperità economica di tutte le persone, anche per vivere bene in equilibrio e in armonia con Madre Terra: dipendiamo da essa per il cibo, la medicina, l’energia, l’aria e l’acqua pulite, la sicurezza dai disastri naturali, l’ispirazione per le attività ricreative e culturali, il sostegno a tutti i sistemi di vita”.
Il degrado del pianeta
La situazione di partenza, quella nella quale ci troviamo, è grave, così come fotografato dall’ultimo rapporto di valutazione su biodiversità e servizi ecosistemici del 2019 (Ipbes): il 75 per cento della superficie terrestre è significativamente alterato, il 66 per cento dell’area oceanica sta subendo forti impatti e oltre l’85 per cento delle zone umide sono andate perse. Le attività umane sono una minaccia crescente per l’estinzione di circa il 25 per cento delle specie animali e vegetali, un milione di specie sono già a rischio di estinzione e molte lo saranno in pochi decenni se non si interviene. Il tasso globale di estinzione delle specie è già almeno da decine a centinaia di volte superiore rispetto alla media degli ultimi 10 milioni di anni e potrebbe crescere ulteriormente.
Un sistema iniquo
Le cause che stanno determinando questo stravolgimento della natura sono i cambiamenti nell’uso del suolo e del mare (deforestazione, attività estrattive, agricoltura e allevamenti intensivi, ecc.), lo sfruttamento eccessivo di piante e animali (pesca, caccia, bracconaggio), il cambiamento climatico, l’inquinamento (pesticidi, rifiuti, ecc.) e l’invasione di specie "aliene". Tutte cause riconducibili a un sistema economico, sociale, tecnologico e commerciale insostenibile e iniquo, a modelli di produzione e di consumo che non tengono conto dei limiti del pianeta né della necessità di tutelare e ripristinare habitat naturali ed ecosistemi.
È su questo quadro che dovrebbero intervenire i 23 obiettivi fissati al 2030: i primi otto sono volti a ridurre le minacce alla biodiversità, un secondo gruppo è orientato a soddisfare le esigenze delle persone attraverso l’uso sostenibile e la condivisione dei benefici, infine ci sono i target relativi a strumenti e soluzioni per l’implementazione dell’Accordo.
L'opposizione dei Paesi africani
Le conclusioni non sono state scontate. Quello che secondo il segretario generale delle Nazioni Unite Antònio Guterres avrebbe dovuto essere un “patto di pace con la natura”, ha trovato forte opposizione da parte dei Paesi africani, che hanno accusato la presidenza cinese di frode per aver forzato la conclusione dell’Accordo, ignorando le loro forti obiezioni riguardo a fondi ed equità. Il Sud del mondo ospita la quota maggiore della biodiversità e riceve richieste di forte impegno a fronte di un aiuto esiguo da parte dei Paesi più sviluppati, che sono quelli con maggiori consumi e quindi con maggiori responsabilità. La mancanza di risorse e di equità sono senz’altro limiti concreti alla piena realizzazione degli obiettivi dell’Accordo.
Target a rischio
I 23 target, molti dei quali importanti e ispiratori, rischiano di restare mere dichiarazioni di intenti senza vincoli, sanzioni e adeguate risorse finanziarie. Più o meno come sta avvenendo con l’Accordo sul clima di Parigi. Questo non intacca il valore degli obiettivi che, così come l’impegno sul rispetto di 1,5°C, continueranno a guidare le rivendicazioni della Cgil per una trasformazione giusta, urgente e radicale del nostro sistema economico, sociale e produttivo in cui la piena occupazione e la giustizia sociale sono coniugate in armonia con la natura e con gli altri esseri viventi.
Simona Fabiani, responsabile delle politiche per il clima, il territorio e l'ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil