Il Consiglio europeo ha approvato la legge per il ripristino della natura. È una buona notizia. L’iter di approvazione era fermo da mesi e ha seriamente rischiato di essere accantonato dopo le proteste degli agricoltori e la campagna elettorale. La legge è stata approvata con il voto contrario di Italia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Finlandia e Svezia e con l’astensione del Belgio e il voto favorevole della ministra austriaca che ha ribaltato la posizione dell’Austria, finora contraria. Il voto dell’Italia conferma la posizione reazionaria del governo Meloni, contrario ad ogni provvedimento di tutela dell’ambiente, del clima e del bene comune.

In questo caso la contrarietà è stata giustificata adducendo incomprensibili oneri economici e amministrativi per il settore agricolo. È la solita posizione negazionista: il governo ignora gli effetti interconnessi e devastanti di inquinamento, perdita di biodiversità e cambiamento climatico, anche sul nostro Paese, e fa di tutto per rallentare e ostacolare la transizione ecologica che viene descritta come il peggiore dei mali, un danno per l’economia, il lavoro e in generale le tasche degli italiani. È vero esattamente il contrario.

L’inazione ha dei costi altissimi, in termini di vite umane, perdite economiche e di occupazione, aumento dei costi energetici, dei beni e delle materie, perdita di opportunità nello sviluppo delle nuove filiere strategiche, perdita di competitività delle nostre imprese. L’azione accelerata invece, oltre ad essere necessaria ed urgente, è una grande opportunità. Nel caso dell’agricoltura il nesso fra tutela dell’ambiente, azione climatica, produzioni e sicurezza alimentare è evidente, basti pensare alla crisi idrica che affligge i nostri territori.

La legge approvata era stata resa meno “offensiva” al sistema, allungando i tempi, introducendo deroghe, aumentando i condizionali e introducendo la possibilità di sospenderne l’applicazione in caso di eventi imprevedibili ed eccezionali, ma è comunque un passo in avanti nella realizzazione del green deal. Non era scontato considerato che la gestione della transizione ecologica (tempi e modi per realizzarla) e i principi stessi del green deal potranno essere messi in discussione nella definizione del programma della prossima maggioranza parlamentare europea.

La giusta transizione ecologica ha bisogno di investimenti e di politiche industriali comuni. Sono necessari fondi europei dedicati alla doppia transizione ecologica e digitale, esclusi dai vincoli del patto di stabilità per accompagnare la radicale e urgente trasformazione di sistema assicurando che non ci siano impatti sociali ed occupazionali negativi, per garantire la creazione di nuova e buona occupazione, accesso all’energia pulita, a servizi pubblici di qualità e alla mobilità sostenibile per tutti. Già da tempo però, anche a livello europeo, questi temi sono stati accantonati privilegiando argomenti come la difesa comune europea, investimenti e produzioni comuni in armamenti, contrasto alla libertà di movimento dei migranti.

In questo contesto, l’approvazione della Nature Restoration Law è una notizia positiva. Il voto punta a mettere in sicurezza il ripristino di almeno il 30% degli habitat europei minacciati entro il 2030, di almeno il 60% entro il 2040 e di almeno il 90% entro il 2050. Si tratta di un regolamento, quindi entrerà in vigore subito, dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. Questo segna un punto importante anche nel nostro Paese che, pur fortemente contrario, dovrà presentare un piano nazionale di ripristino per contribuire agli obiettivi dell’Unione previsti dalla legge: recupero della biodiversità e della resilienza degli ecosistemi attraverso il ripristino degli ecosistemi degradati.

Non dobbiamo però dare niente per scontato. Il governo ha confermato di non voler fare nessun passo avanti su clima e ambiente anche dalla gestione della presidenza italiana del G7. Nel comunicato finale su questi temi ci sono molte pagine ma niente di più rispetto a quanto già concordato in ambito di conferenze delle parti alla COP28 di Dubai per il clima e alla COP15 di Montreal per la biodiversità, come sarebbe stato invece necessario trattandosi di un vertice dei paesi con maggiori responsabilità ambientali e climatiche e che hanno le capacità finanziarie, tecnologiche e manifatturiere per affrontare e trainare il cambiamento.

La giusta transizione deve essere accelerata, a livello globale e di singoli stati, con tempi più rapidi e interventi più radicali nei paesi con un’industrializzazione più avanzata. Al nostro Paese servono politiche di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico, per la tutela e il ripristino degli ecosistemi e la biodiversità, per la giusta transizione, una legge per il clima e una per fermare il consumo di suolo. Servono politiche industriali, ricerca e sviluppo, investimenti adeguati per rilanciare il tessuto produttivo legandolo alle filiere strategiche a zero emissioni, per rendere competitive le nostre imprese e perseguire la piena e buona occupazione.

Serve tutto il contrario di quello che sta facendo il governo, che con il Pniec, ma non solo, favorisce lo sviluppo di infrastrutture e impianti per le fonti fossili, frenando con ogni mezzo le sviluppo delle infrastrutture e degli impianti di produzione per le rinnovabili, e l’elettrificazione dei consumi, a partire dalla mobilità. Per questo continueremo ostinatamente a portare avanti la nostra lotta per la giusta transizione, il clima, la pace, i diritti e il lavoro.

Simona Fabiani è responsabile Cgil Politiche per il clima, il territorio, l’ambiente e la giusta transizione