Nel Pniec, Piano nazionale integrato energia e clima, inviato alla Commissione europea a fine giugno, il governo ha previsto la ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare nel nostro Paese, da cui si aspetta un contribuito dall’11 al 22 per cento del mix energetico al 2050, pensando soprattutto agli small modular reactors (Smr).

Lo stesso governo nel Pniec ammette che “la letteratura scientifica internazionale è concorde nell’affermare che un sistema elettrico interamente basato su fonti rinnovabili, in particolare non programmabili, è possibile”, e giustifica la necessità di ricorrere al nucleare con un’assurda motivazione di convenienza economica.

Assurdità che ha lasciato senza parole il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che non è stato in grado di rispondere alla richiesta di chiarimenti sul preventivo di spesa e sui costi dell’energia derivanti dall’eventuale produzione nucleare in Italia, durante un question time alla Camera.

Italia hub delle fossili

Nel frattempo, il governo conferma nel Pniec l’obiettivo di fare dell’Italia un hub dell’energia da fonti fossili nel Mediterraneo, con il raddoppio della capacità del Tap (il Trans Adriatic Pipeline), la realizzazione della linea adriatica, il potenziamento della capacità di importazione complessiva del gas, di esportazione verso Austria e Nord Europa, e delle importazioni di Gnl con due nuovi rigassificatori e il sistema di stoccaggio, incrementando la produzione di gas e biometano nazionali e rinnovando le infrastrutture obsolete.

Un impegno forte, dunque, su fonti fossili e su nucleare mentre lo stesso governo cerca in ogni modo di bloccare lo sviluppo delle rinnovabili. Questa intenzione è resa evidente dagli obiettivi del Pniec che prevedono un totale di 131.043 MW di produzione da fonti rinnovabili al 2030: un quantitativo irrisorio visto che Terna al 31 gennaio 2023 ha certificato richieste di autorizzazioni per nuovi impianti rinnovabili per 303 GW (120 GW fotovoltaico, 107 GW eolico off shore, 75 GW eolico on shore).

La campagna del governo

Per realizzare questa campagna di contrasto allo sviluppo delle rinnovabili il governo si muove su più fronti, a partire dal decreto Fer X, sugli incentivi alla realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica dalle principali fonti rinnovabili, che non è ancora stato adottato; il decreto aree idonee che ha demandato l’individuazione delle stesse a leggi regionali da definire entro sei mesi, allungando così i tempi e introducendo discrezionalità territoriali e il decreto agricoltura che ha stabilito il divieto di installare gli impianti fotovoltaici a terra nelle zone classificate agricole dai piani urbanistici.

Contrari al nucleare

La Cgil è assolutamente contraria al ritorno del nucleare nel nostro Paese. Questa ipotesi disconosce la volontà popolare espressa in ben due referendum, e non tiene in considerazione i costi elevatissimi, i tempi incompatibili con l’urgenza della giusta transizione ecologica, i rischi e l’inaccettabilità sociale di questa tecnologia. A ciò si somma l’incapacità di individuare un’area in cui costruire il sito nazionale per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi.

Come fa il governo a pensare alla ripartenza del nucleare se non è ancora in grado di mettere in sicurezza i rifiuti delle centrali dismesse, dei rifiuti radioattivi civili e delle scorie nucleari stoccate all’estero, che dovrebbero rientrare in Italia nel 2025?

Il 12 luglio la Cgil, insieme alle maggiori associazioni ambientaliste, della società civile, docenti e ricercatori di numerose università, esponenti di organizzazioni del mondo delle imprese, ha lanciato un appello contro il nucleare e per un sistema 100 per cento rinnovabili. Invece di immaginare false soluzioni, come il nucleare, la Ccs, l’idrogeno da fonti non rinnovabili, è necessario e urgente accelerare la transizione ecologica puntando sul risparmio e l’efficienza energetica e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, definendo un percorso di uscita da tutti i combustibili fossili, per contribuire responsabilmente all’obiettivo di 1,5°C, creare nuova e buona occupazione, ridurre i costi energetici, migliorare la competitività delle imprese, puntare alla sicurezza energetica nazionale.

Politiche per la transizione

Il nostro Paese ha bisogno di politiche industriali, di ricerca e sviluppo, per guidare la trasformazione del sistema produttivo verso le filiere strategiche nella decarbonizzazione, per creare sviluppo e piena occupazione, garantendo una giusta transizione senza impatti occupazionali e sociali negativi. L’Italia deve prendersi le sue responsabilità, come Paese del G7, e affrontare senza indugi una trasformazione per cui ha tutte le capacità finanziarie, tecniche e manifatturiere necessarie. Il Pniec si contraddistingue, invece, per l’insufficiente contributo del nostro Paese all’obiettivo europeo della neutralità climatica, per la mancanza di politiche industriali, della ricerca, degli investimenti, senza nessuna politica per la giusta transizione.

Modificare le scelte

La conclusione dell’iter di approvazione del Pniec, avvenuto senza nessun percorso di partecipazione democratica, non cambia l’impegno della Cgil per modificare le scelte politiche del governo in materia di clima/energia. La Cgil continuerà a lottare per una giusta transizione ecologica, da realizzare nei tempi indicati dalla scienza, che tenga insieme giustizia climatica e sociale; continuerà a contestare gli investimenti che legano il nostro Paese alle fonti fossili, decretandone inesorabilmente il declino industriale, la dipendenza energetica e tecnologica e la perdita di occupazione, e qualunque ipotesi di ritorno al nucleare.

L’azione della Cgil per la giusta transizione va avanti a livello nazionale e nei territori, nella contrattazione per lo sviluppo sostenibile con le istituzioni e nella contrattazione aziendale, nelle mobilitazioni e nelle vertenze che portiamo avanti con le comunità e con la società civile impegnata nelle nostre stesse battaglie per un radicale cambiamento di sistema, nella Via Maestra e nel nuovo network “NO al nucleare, 100% rinnovabili”.

Simona Fabiani è responsabile Cgil Politiche per il clima, il territorio, l’ambiente e la giusta transizione