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Dal 4 al 6 settembre si sono tenuti a Nairobi, in Kenya, l’Africa climate week 2023 e l’African climate summit, due vertici che hanno avuto l’obiettivo dichiarato di trovare una posizione unitaria del continente in vista della Cop28 di Dubai, con particolare attenzione al tema dei finanziamenti e allo sviluppo di una dichiarazione congiunta per una transizione energetica in chiave sostenibile. Le aspettative erano anche puntate sugli annunciati investimenti per la transizione verde in Africa.
Impegni disattesi
Ricordiamo che resta ancora disatteso l’impegno assunto nel 2009 da parte dei Paesi ricchi, di contribuire con 100 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima nelle economie in via di sviluppo. Cifra fra l’altro irrisoria rispetto a quanto necessario per eliminare i combustibili fossili, proteggere le popolazioni dai disastri climatici e coprire danni e perdite.
Il continente, che ospita quasi 1,3 miliardi di persone, è responsabile di meno del 4 per cento delle emissioni globali di Co2 e di meno dell’1 per cento delle emissioni storiche cumulative. In termini pro-capite le emissioni medie di chi vive in Africa sono di 1 tonnellata di Co2, con molti dei Paesi più poveri dell’area subsahariana come la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia e la Repubblica Centroafricana che hanno emissioni pro-capite di solo 0,1 tonnellata all’anno, a fronte delle 10,3 del Nord America, delle 10 dell’Oceania e delle 7,1 dell’Europa.
Miraggio rinnovabili
I Paesi africani sono fra i più afflitti dalle conseguenze del cambiamento climatico: inondazioni, siccità, carestie. "L'energia rinnovabile potrebbe essere il miracolo africano" ha dichiarato Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ma per loro è difficile affrontare la transizione energetica anche perché i bilanci sono sostenuti dalle esportazioni di gas e petrolio e la trappola del debito li “costringe” a impegnarsi in progetti fossili per rimborsare i prestiti del Fondo monetario internazionale, degli Stati del Nord e degli investitori privati.
Ingerenze coloniali
Il vertice è stata un’opportunità per un nuovo corso per il continente, per garantire un futuro più sicuro e prospero per la popolazione, i suoi sistemi alimentari, le risorse idriche e la biodiversità. Prima dell’inizio dei lavori la società civile organizzata nel “Real African Climat Summit 2023” ha però denunciato l’ingerenza dei governi occidentali (Germania, Francia, Ue) e di società di consulenze e organizzazioni filantropiche (come la Bill &Melinda Gates Foundation) che hanno l’obiettivo di dirottare l’agenda del summit sugli interessi occidentali.
Ci riferiamo ai mercati del carbonio e al sequestro della Co2, legati alla capacità di assorbimento del carbonio delle foreste e della natura del continente, ma anche per il potenziale sviluppo delle energie rinnovabili e della ricerca di minerali, in un’ottica colonialista, a scapito dei bisogni del popolo e della terra africani.
Alleanza per chi?
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha offerto un’alleanza fra Europa e Africa in vista della prossima Cop28, per proporre una tariffazione globale del carbonio come soluzione per sbloccare enormi risorse per l’azione climatica in Africa. È un’idea vecchia, valida per non intaccare il business as usual e consentire alle lobby delle fonti fossili, spesso compagnie occidentali che operano in Africa e nel Sud del mondo, di continuare a esplorare e sfruttare vecchi e nuovi giacimenti di gas e petrolio pagando un piccolo prezzo per l’acquisto di crediti di carbonio. D’altra parte nei mesi scorsi molti Paesi europei, fra cui anche l’Italia, hanno firmato accordi per sostituire il gas russo con il gas africano.
La giusta direzione
La scienza ci indica una strada completamente diversa: le fonti fossili devono essere lasciate sottoterra se vogliamo avere una qualche possibilità di contenere l’incremento della temperatura entro 1,5°C. L’Europa, che ha responsabilità, condizioni economiche e tecnologie per farlo, deve affrontare la crisi climatica riducendo drasticamente le emissioni di gas climalteranti nei prossimi sei anni e mezzo e sostenere i Paesi in via di sviluppo con trasferimenti finanziari e tecnologici in un’ottica di cooperazione, senza mire imperialiste, coloniali e di sfruttamento. E questo vale anche per il nostro Paese che si appresta a presentare a novembre il piano Mattei.
Impegni finali
Il summit si è concluso con una dichiarazione finale che contiene alcuni passaggi positivi, come il proposito di focalizzare i piani di sviluppo dei Paesi africani e la creazione di occupazione sull’espansione di una giusta transizione, la produzione di energia da fonti rinnovabili per le attività industriali, pratiche agricole rigenerative e attente al clima, la protezione della natura e della biodiversità e il proposito di spostare in Africa la lavorazione delle materie prime del continente.
Questo è un aspetto importante considerato che ingenti riserve globali di cobalto, manganese e platino, fondamentali per le batterie e le celle a combustibile a idrogeno, si trovano in Africa. Resta da vedere quanti di questi propositi verranno realizzati. La dichiarazione prosegue con intenti condivisi fra i 54 Paesi, che se non saranno fatti propri dal resto del mondo rimarranno lettera morta: il rispetto degli impegni finanziari per il sostegno all’azione climatica da parte dei Paesi più ricchi, una revisione del sistema finanziario multilaterale e del debito, l’operatività sul loss and damage, l’adozione di impegni globali e misurabili per l’adattamento.
Risorse insufficienti
Durante il vertice sono stati annunciati impegni per 23 miliardi di dollari di investimenti per la crescita verde, la mitigazione e l’adattamento in tutta l’Africa, da parte di governi (4,5 miliardi dagli Emirati Arabi Uniti), settore privato, banche multilaterali e filantropi. Risorse importanti, inferiori a quelle previste alla vigilia del vertice e assolutamente insufficienti.
Significativi i contenuti della “People declaration” del Real climate summit che ha riunito rappresentanti dei movimenti sociali e della società civile, sindacati, donne, popolazioni indigene, giovani, persone con disabilità, media, gruppi religiosi. La dichiarazione finale richiama alla necessità di un radicale cambiamento dell’attuale sistema che antepone gli interessi delle élite al benessere delle persone e sfrutta la natura per il profitto. Richiama alle responsabilità storiche delle nazioni ricche e al potere che devono avere le persone e le comunità nel determinare le scelte future, all’equità, alla giustizia, all’uguaglianza, alla tutela dei diritti umani.
Con questi summit si intensificano le tappe di avvicinamento alla Cop 28 che si svolgerà a Dubai a fine novembre. La Cgil come sempre sarà impegnata in questo percorso, sia nel contesto nazionale che internazionale, con le proprie rivendicazioni, nelle mobilitazioni e con la partecipazione ai momenti istituzionali.
Simona Fabiani è responsabile Politiche per clima, territorio, ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil