“È la Cop delle basse aspettative. Nonostante l’obiettivo di questo summit sia di enorme importanza, molti sono arrivati qui a Baku nutrendo perplessità di poterlo raggiungere, in un Paese come l’Azerbaigian che ha molti interessi negli idrocarburi”.

È scettica sull’esito della 29esima Conferenza delle parti sul clima dell’Onu Maria Grazia Midulla, del Wwf Italia, che da anni segue questi appuntamenti internazionali. “La presidenza sta cercando di invertire queste aspettative - aggiunge -, sta provando a non rinviare la definizione dell’obiettivo”.

Qual è l’obiettivo della Cop che si deve definire a tutti i costi?
La costruzione della fiducia tra i Paesi di più antica industrializzazione e quelli in via di sviluppo, attraverso la creazione di un fondo che possa essere effettivamente motore di un’economia a basse emissioni, anzi per la neutralità climatica. Ma qui si registra tanta pigrizia e anche una certa tattica messa in atto da alcuni Paesi. I produttori di petrolio, Arabia Saudita in testa, stanno cercando di porre ostacoli grandissimi, mentre gli Usa sono in una posizione debole, stante anche la fase di passaggio. Vediamo molta buona volontà invece da parte dei Paesi in via di sviluppo, speriamo che riescano a cambiare le cose.

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MARIAGRAZIA MIDULLA WWF (IMAGOECONOMICA)

Che cos’è esattamente questo fondo?
Il fondo per il clima nasce dalla conferenza di Copenaghen del 2009, che anche se fallì per alcuni versi, riuscì a costruire un’intesa nella quale era prevista la volontà da parte dei Paesi sviluppati di finanziare azioni per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi agli effetti del cambiamento climatico nei Paesi più vulnerabili, eccetto Cina e India: finanziamenti a lungo termine di 100 miliardi di dollari l’anno, cifra che poche volte si è riusciti a rispettare. Gli accordi di Parigi hanno ripreso questo impegno, confermandolo fino al 2025. Adesso siamo nella fase del rinnovo di questo onere, ma con le necessità che si sono evidenziate, 100 miliardi non bastano più, servono mille miliardi di dollari.

Qual è la situazione adesso a Baku?
È la tipica situazione di stallo in cui si ritrovano a un certo punto tutte le Cop, si è in attesa del documento della presidenza, che ha preso l’impegno di rispettare i tempi di chiusura del summit. Ma tutti sanno che non lo farà perché è un rito tipico di questi appuntamenti. Le prossime saranno ore di negoziato intensissimo, speriamo che possa portare a qualche risultato molto presto e che l’identificazione del goal avvenga qui e non sia rinviato ai primi mesi dell’anno prossimo, come è stato annunciato.

Tra i temi al centro del vertice anche i nuovi piani nazionali per il clima. Che cosa prevede?
I piani nazionali che i Paesi devono adottare sono fondamentali. Questa Cop spiana la strada a quella del 2025 in Brasile, dove dobbiamo prepararci ad assumere impegni per i prossimi cinque anni che siano all’altezza della sfida di accelerare l’azione climatica. Qui l’unico che sta accelerando in maniera incredibilmente veloce è il cambiamento climatico.

Crede che l’obiettivo di 1,5°C di aumento delle temperature sia ancora raggiungibile?
Non possiamo abbandonare l’idea di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C perché sarebbe un disastro per tutti. Un assessore di Valencia ha detto che a seguito dell’alluvione che ha colpito la città spagnola si sono persi 200 mila posti di lavoro, ma dai calcoli fatti dal sindacato risulta che la perdita è molto maggiore. Le conseguenze del cambiamento climatico colpiscono tutti, persone, cose, economia, posti di lavoro. Questo fatto non si tiene mai in considerazione, si pensa solo alla difficoltà di garantire il passaggio da un’economia a un’altra, da un posto di lavoro a un altro. Ma sono tutte cose che si possono fare con un’adeguata governance. Noi e le organizzazioni sindacali siamo impegnati in questo senso, è questa la giusta transizione. Non si possono salvare solo i posti di lavoro perché non c’è lavoro in un Pianeta morto.