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Una delle partite importanti di questa Cop28 è il programma di lavoro sulla giusta transizione (JTWP). Un tema ancora controverso, in cui si scontrano diverse visioni del futuro e della società. Semplificando: da una parte ci sono i Paesi del nord del mondo che hanno una visione molto ristretta della giusta transizione, che si limita alla protezione del lavoro nella transizione energetica, mantenendo intatto l’attuale sistema economico e sociale insostenibile, dall’altra i Paesi del G77, per la maggior parte in via di sviluppo ma anche con economie avanzate come Emirati Arabi Uniti, Qatar, India, Egitto, Sudafrica e Brasile.
Per questi ultimi il programma di lavoro per la giusta transizione deve essere un processo per affermare giustizia ed equità globali, per eradicare la povertà e consentire loro di svilupparsi. Trascurano però il tema del lavoro. La giusta transizione è un concetto molto complesso che non può essere semplificato, le due posizioni sono parziali, in entrambe per esempio manca il riferimento ad azioni concrete e urgenti per rispettare l’obiettivo di 1,5°C.
La giusta transizione rappresenta un radicale cambiamento di sistema, in cui Obiettivi di Sviluppo sostenibile e decarbonizzazione, con l’uscita dalle fonti fossili, sono da portare avanti coinvolgendo comunità, sindacati, popolazioni indigene e tribali. Una giusta transizione deve tutelare lavoratori e comunità, creando nuova occupazione, garantendo protezione sociale, riqualificazione professionale, diritti del lavoro e diritti umani, accesso garantito ai servizi essenziali.
Si realizza a livello globale, deve essere inclusiva, deve assicurare pace e disarmo, equità intra e intergenerazionale e di genere, piena occupazione, deve superare ogni forma di sfruttamento, colonialismo e discriminazione, le disuguaglianze e i divari all’interno dei Paesi e fra sud e nord del mondo.
La lotta per la giusta transizione è essenziale ma anche difficile e per questo richiede tutta la nostra forza. È una sfida difficile perché punta a scardinare i sistemi di potere, sostituendo il predominio del capitale con un nuovo modello economico e sociale in cui giustizia ed equità si realizzano.
Portare avanti le richieste del movimento per la giustizia climatica in un contesto blindato come quello della Cop28, in cui è possibile mobilitarsi solo in piccoli gruppi e a bassa voce, non è facile. Ci sono state azioni in solidarietà con il popolo palestinese, per chiedere il cessate il fuoco nella striscia di Gaza e per fermare tutte le guerre e il riscaldamento globale, mettendo in evidenza la connessione fra disarmo e decarbonizzazione, e la sproporzione fra le spese militari e gli impegni per il fondo danni e perdite.
Per esempio, gli Usa hanno speso 877 miliardi di dollari nel 2022 per il settore militare e si sono impegnati a versare solo 17,5 milioni di dollari nel fondo danni e perdite. Ci saranno altre azioni nei prossimi giorni ma abbiamo bisogno di una forte mobilitazione fuori, per gridare ai governi le nostre proposte e la rabbia per la loro inazione.