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Qualche giorno fa una lettera firmata da cento scienziati sollecitava i giornalisti italiani a parlare di cambiamento climatico, e non di maltempo. Di parlarne basandosi su notizie scientifiche verificate, di informare sulle cause della crisi climatica e sulle sue soluzioni.
Gli scienziati ci ricordano con fermezza che le ondate di calore hanno causato 18 mila morti premature nel nostro Paese la scorsa estate e che gli impatti del cambiamento climatico nei nostri territori si stanno intensificando, ma ci rammentano anche che la crisi climatica ha precise cause determinate dalle attività umane, che la principale è l’utilizzo delle fonti fossili, ma anche la deforestazione, gli allevamenti intensivi, e così via, e che esistono soluzioni tecnologicamente ed economicamente attuabili, prima fra tutte la decarbonizzazione dell’economia.
Qualche giorno fa ha parlato di crisi climatica, conseguenze e azioni anche il nuovo presidente dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu, Jim Skea: “Il mondo non finirà se diventerà più caldo di 1,5 gradi. Tuttavia, sarà un mondo più pericoloso. I Paesi dovranno lottare con enormi problemi e ci saranno molte tensioni sociali”.
E ancora: “Possiamo ancora intraprendere azioni per evitare alcune delle peggiori conseguenze del cambiamento climatico, questo dev'essere chiaro. La sensazione di essere paralizzati di fronte a una minaccia letale non ci aiuterà, è importante passare rapidamente all'azione”. Parole che il quotidiano La Verità ha semplicisticamente riassunto in questo modo: “Anche il nuovo capo dell’Ipcc frena: il mondo non sta per finire…”.
Il vizio di troppi giornalisti del nostro Paese di separare gli effetti drammatici del cambiamento climatico dalle cause che lo determinano e dalle azioni necessarie per contrastarlo fa il gioco di tutta quella politica, non solo di governo, che protegge gli interessi delle lobby del fossile invece di tutelare la popolazione, che si affanna a esprimere solidarietà alle comunità colpite da alluvioni, grandine, siccità e incendi, invece di investire in prevenzione, mentre continua a promuovere nuovi rigassificatori, oleodotti e gasdotti, centrali a gas e Ccs.
Questo colpevole negazionismo è il marchio del governo Meloni, rappresentato bene dal comportamento del ministro dell’Ambiente che si “commuove” per le parole della ragazza che ha paura per il futuro, ma si sente perfettamente a suo agio quando nel governo propongono di fare dell’Italia un hub del gas, di posticipare il phase out dal carbone, di continuare a pagare oltre 22,4 miliardi di euro all’anno per i sussidi ambientalmente dannosi, di cui 13,8 per il sostegno alle fonti fossili, di tagliare gli investimenti per l’eolico off shore e per il rischio idrogeologico. È una vergognosa follia!
Dobbiamo agire subito e con radicalità. Il primo dovere di una giusta transizione è proprio quello di accelerare i tempi per evitare le conseguenze più drammatiche della crisi climatica e sociale. È necessario bloccare tutti i finanziamenti alle fonti fossili e investire nell’adattamento, nella prevenzione, nel ripristino degli ecosistemi e nella tutela della biodiversità, per una piena e buona occupazione.
Bisogna ripensare il sistema economico, tenendo conto dei limiti del Pianeta e della necessità di garantire giustizia sociale, equità di genere, generazionale, razziale e territoriale. Per la decarbonizzazione esistono già in tutti i settori le tecnologie che possono almeno dimezzare le emissioni entro il 2030, gli investimenti nella transizione sono ancora troppo pochi ma esiste la disponibilità di capitale necessaria per recuperare il divario: è sufficiente spostare gli investimenti dalle fonti fossili alle nuove tecnologie sostenibili.
I costi dell’inazione sono più alti di quelli dell’azione e non tengono conto delle vittime. L’occupazione che si crea nella transizione ecologica è molto superiore a quella che andrà perduta nei settori delle fossili, altamente inquinanti. La transizione energetica, verso un modello decentrato e democratico basato su risparmio, efficienza e rinnovabili, garantisce autonomia, riduzione e stabilità dei costi, competitività.
La transizione ecologica è un investimento per un presente e un futuro migliori. È una partita che si gioca anche in questi giorni con le scelte che verranno fatte nel Pniec, Piano nazionale integrato per l'energia e il clima, nella revisione del Pnrr e nei progetti da finanziare con il RepowerEU. È una lotta che porteremo avanti con determinazione.
Simona Fabiani è responsabile Politiche per clima, territorio, ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil