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“Il nucleare? È morto. Checché ne dicano il governo italiano e i Paesi che hanno firmato il documento per triplicare le capacità energetiche dall’atomo nel mondo. Ma non sono io a sostenerlo, o gli ambientalisti. Lo dicono i fatti”. E i fatti, per il rieletto presidente di Legambiente Stefano Ciafani, sono quelli indicati dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica: nel 2021 la produzione da rinnovabili è stata a livello mondiale pari al 28%, quella da nucleare al 10. Nello scenario più conservativo, al 2050 le fonti alternative cresceranno al 65%, mentre l’atomo scenderà al 9. Nello scenario più ambizioso, le prime arriveranno a quota 88%, il nucleare diminuirà all’8.
“Il nucleare non l’ha ucciso l’ambientalismo ma il libero mercato. Si sapeva già vent’anni fa, da dieci, e cioè dal post Fukushima (l’incidente nucleare avvenuto in Giappone l’11 marzo 2011, ndr), è evidente a tutti”.
Che cosa vuol dire?
Che un chilowattora da nucleare è molto più costoso di uno da rinnovabili. Negli ultimi anni è stato maggiore il numero dei reattori chiusi rispetto a quelli nuovi messi in esercizio. E a proposito del discusso nucleare francese, l’azienda Edf è stata rinazionalizzata perché potesse far fronte ai debiti miliardari accumulati a causa dei ritardi nella costruzione del reattore in Normandia, dello spegnimento di decine di reattori, e della carenza di acqua nei fiumi per la siccità nell’estate 2022. Oltralpe i buchi creati dal nucleare si condividono con tutti i contribuenti. Oltre a essere una fonte pericolosa, che produce scorie che non si sa come trattare e smaltire, è anche la più costosa. Quindi, riposi in pace.
E in Italia?
Il governo italiano dice che si faranno dei mini reattori nucleari nelle aree industriali a servizio delle imprese. Voglio proprio vedere come ci riusciranno, qual è il territorio disponibile a ospitare un mini reattore. Se sono mini, bisognerà farne tanti. In questo modo si rischia una guerra civile in Italia. Già non si riescono a costruire degli innocui impianti eolici, figuriamoci se si potranno realizzare dei piccoli impianti nucleari. E a parte le imprese interessate a prendere soldi pubblici che finanzieranno la ricerca, non ci sono aziende private che investiranno sul nucleare: loro si impegneranno sull’eolico perché il chilowattora è competitivo, costa meno.
D’altra parte non abbiamo ancora trovato in Italia un posto dove stoccare le scorie radioattive...
Infatti, il governo dovrebbe impegnarsi a localizzare il deposito unico dei rifiuti radioattivi secondo il percorso della carta nazionale delle aree idonee, senza scorciatoie e senza le autocandidature che hanno portato a soluzioni fasulle.
Che cosa pensa di quello che sta accadendo a Dubai, alla Cop28?
Purtroppo quello che stiamo vedendo alla conferenza dell’Onu è il pestar l’acqua nel mortaio, una discussione fuori da ogni logica in questo momento storico. Si continua discutere se le parole “fonti fossili” devono essere presenti nella dichiarazione finale. Ma se vogliamo contrastare la crisi climatica, non possiamo non parlarne. La diplomazia internazionale è bloccata dagli interessi di pochi Paesi, quelli che hanno a che fare con il petrolio, una situazione di stallo irresponsabile, visto quello che sta vivendo il Pianeta. Anche in questo caso ciò che ci rassicura è il comportamento del mercato.
In che senso?
Lo scrive una fonte non ambientalista, l’Agenzia internazionale per l’energia. Nel suo recente rapporto dice che sino a cinque anni fa il rapporto tra gli investimenti sulle fossili e quelli sulle rinnovabili era di 1 a 1, nel 2023 sarà di 1 a 1,7: per ogni dollaro speso sulle fossili ce ne sono 1,7 per le fonti pulite. Questa tendenza è evidente nel mondo e potrebbe essere la soluzione non diplomatica alla crisi climatica, dettata dagli interessi privati.
Il rischio però è che alla transizione ci arriviamo troppo tardi.
È così. Gli scienziati dicono che con il business as usual arriviamo a 3°C di riscaldamento globale, mentre l’obiettivo è quello dell’Accordo di Parigi, 1,5°C. Alla Cop bisognerebbe esplicitare l’uscita dalle fossili, all’Italia contestiamo l’atteggiamento dilatorio e di rallentamento. Al nostro recente congresso abbiamo ricordato che la transizione va fatta bene e velocemente e che dobbiamo fermare il partito della lentezza, che è trasversale: dentro ci sono Meloni e Salvini, ma anche Bonaccini e il sindaco di Ravenna.
Per parte nostra ci siamo dati dieci priorità per i prossimi quattro anni e 30 obiettivi: dalla rivoluzione energetica all’economia circolare, dalla mobilità sostenibile all’agroecologia. Questo è il momento dell’ambizione e noi abbiamo deciso di non rimanere in tribuna ma di scendere in campo, di agire e non solo predicare.