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Ultima generazione è una campagna italiana di disobbedienza civile. È una specie di fight club non violento che compie azioni per attrarre l’attenzione mediatica, sensibilizzare la classe politica e spostare l’opinione pubblica sulla crisi eco-climatica. Obiettivo ultimo: ottenere un tavolo di negoziato con il governo per chiedere di investire in energie rinnovabili, evitare le trivellazioni per l’estrazione di gas e la riapertura delle centrali a carbone, ma soprattutto interrompere gli investimenti in combustibili fossili.
La nascita
Nasce in Italia nell’ottobre 2021 dall’iniziativa di sei attivisti di Extinction Rebellion, frustrati dalla paralisi burocratica del movimento internazionale di cui facevano parte. All’epoca c’erano Michele, 27 anni, insegnante e ricercatore precario, Beatrice, 29, veterinaria precaria, Daniele, 50 anni, disoccupato, Aldo, 40 anni, coltivatore diretto di ulivi, Gianluca, 55 anni, seminarista, poi operaio e agricoltore, Laura, 27 anni, disoccupata per gravi problemi di salute.
Persone di estrazione sociale ed età diverse, alla luce delle quali la retorica infantilizzante usata contro Ultima generazione cede il passo all’urgenza di un patto intergenerazionale per garantire un futuro sostenibile al Paese.
Le azioni non-violente
Oggi parte del nucleo iniziale del movimento è stato sostituito da forze nuove, mentre centinaia di persone stanno contribuendo con azioni dirette e di supporto esterno. Giulio, 60 anni, ex giardiniere e fiorista, si è unito a tempo pieno a Ultima generazione: “Vedo chiaramente l’efficacia della strategia che si sta mettendo in atto”, spiega.
Tra le azioni più note, scioperi della fame ignorati dalla politica, blocchi stradali, lancio di vernice lavabile e farina su opere d’arte, vernice su edifici pubblici come il Senato e la Cassa depositi e prestiti a Roma, il teatro alla Scala e la scultura Love in piazza Affari a Milano. “L’azione a cui sono più affezionato è il blocco del traforo del Monte Bianco - racconta Giulio -: dalla parte francese Dernièr Renovation (l’omologo movimento d’oltralpe, ndr) ci aspettava. Tutto quello che devi fare è arrivare, schierarsi, legarsi con fascette e u-lock, sedersi per terra per bloccare la strada sotto il rumore della neve che cade”.
L’organizzazione
Ultima generazione ha una struttura gerarchica semplice e funzionale alla rapida assunzione di decisioni, che segue le regole “costituzionali” della Rete internazionale A22, a cui il progetto italiano aderisce insieme ad altri dieci presenti in Francia, Germania, Svezia, Norvegia, Regno Unito, Svizzera, Canada, Usa, Nuova Zelanda e Australia. Tutti si attengono a un piano di azioni che variano per tipologia e frequenza, evitando la ripetizione dello stesso gesto.
La non linearità dell’azione provoca salti esponenziali di attenzione mediatica, ci spiega Chloé, 24 anni, laureata in neuroscienze ed ex ballerina, che oggi opera a tempo pieno nel movimento: “Rappresentare pubblicamente Ultima generazione è una grande responsabilità – aggiunge -. Gli spazi in tv e sui giornali sono stati conquistati da tutte le persone che hanno messo in gioco la propria libertà e la propria incolumità fisica e mentale. Alla base di quello che facciamo c’è amore, non odio, e non è facile farlo trasparire senza diluire il nostro messaggio scientifico e politico”.
La strategia
“Alla base dell’impegno in Ultima generazione c’è un desiderio di semplicità – ci racconta un altro attivista, Michele -: se la tua casa sta andando a fuoco, l’unica cosa che puoi fare è saltare fuori dalla finestra e spegnere l’incendio, e non organizzare una conferenza su quanto stia bruciando velocemente. Se stai per morire devi reagire, devi mettere a tacere il tuo ego e rimboccarti le maniche”. Il movimento è anche un tentativo di catalizzare la rabbia sociale: “Adoro il conflitto – aggiunge -: è vita, è verità, è fonte di nuove opzioni creative, è la via per entrare veramente in contatto tra esseri umani”.
Quale futuro?
Ragionare sul futuro del movimento non è semplice, perché il suo successo non dipende solo dagli sforzi degli attivisti, ma anche da come le altre parti sociali decideranno di posizionarsi. Le speranze di Michele sono rosee: “Tra tre mesi saremo i più grandi influencer sulla crisi climatica del Sud Europa, tra sei avremo costruito una massa critica di persone pronte a protestare in maniera non-violenta in Italia. Tra un anno avremo costruito un’alleanza sociale intorno alla questione ambientale che punti su conflitto sociale, azione sindacale e organizzazione di scioperi, proliferazione di nuovi modelli come le comunità energetiche e agricole, e influenza politica per ottenere risultati normativi”.
Metodo contagioso
Rispetto ad altri movimenti, come Fridays For Futures e Extinction Rebellion, Ultima generazione non si pone in maniera competitiva, ma usa la disobbedienza civile per contribuire a raggiungere lo scopo comune, metodo che sta iniziando a penetrare anche nelle organizzazioni meno conflittuali. Rispetto al mondo sindacale, invece, i punti di affinità anche metodologica sono molteplici. Emerge con chiarezza l’uso dello schema conflittuale classico, dove l’azione non violenta disturbante (imbrattamento) e paralizzante (blocco stradale) è finalizzata a sollecitare attenzione e a esercitare pressione sui centri di potere per ottenere un tavolo negoziale, come nella dinamica sciopero-contrattazione collettiva.
“Finché il respiro rimarrà nei nostri corpi non ci fermeremo – si legge sul sito web del movimento -. Siamo l’Ultima generazione. Ma siamo anche i primi. Siamo ovunque. Stiamo arrivando”. C’è qualcosa di gramsciano nel loro sforzo rivoluzionario nient’affatto disperato: l’ottimismo della volontà. E la sfrontatezza di immaginare di plasmare una nuova egemonia culturale.
Sofia Gualandi è ricercatrice della Fondazione Giacomo Brodolini