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La giusta transizione è un concetto trasformativo che parte ma va oltre la tutela del lavoro nella transizione energetica, per definire un radicale cambiamento del sistema in chiave anticapitalista. Questo è il tema della seconda giornata della Settimana globale di azione per la finanza climatica e un futuro senza fossili, la campagna che mette in campo otto giorni di mobilitazioni e iniziative di informazione e pressione sui cambiamenti climatici con un calendario di eventi.
La trasformazione non deve essere lasciata nelle mani del mercato ma guidata con un ruolo forte degli Stati nell'economia, mettendo al centro la visione del bene comune e non il profitto, e da processi democratici e partecipativi che coinvolgono pienamente organizzazioni sindacali, comunità, enti locali, società civile organizzata.
Per essere giusta la transizione deve realizzarsi a livello globale, in tutti i Paesi e senza lasciare indietro nessuno, deve essere accelerata per rispettare l'obiettivo di 1,5°C e prevedere l'uscita graduale da tutti i combustibili fossili nel rispetto dei tempi indicati dalla scienza.
Deve includere il cessate il fuoco in tutte le guerre e il disarmo, la libertà di movimento dei migranti, il superamento di ogni forma di colonialismo, sfruttamento e discriminazione e diseguaglianze tra Nord e Sud del mondo, il rispetto dei diritti umani, il ripristino della biodiversità e il raggiungimento di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile, tra cui la piena e buona occupazione e l'equa distribuzione delle risorse e della ricchezza.
La giusta transizione deve anche superare le disuguaglianze all’interno degli stessi Paesi, puntando a eliminare i divari occupazionali e salariali tra ambiti territoriali, tra lavoro maschile e femminile, e quelli verso i giovani, le persone con disabilità, i migranti, le persone Lgbtqi+ e garantire servizi pubblici di qualità per tutti, investendo nei beni comuni, nel ripristino degli ecosistemi e nella tutela della biodiversità, nella prevenzione, nell’adattamento ai cambiamenti climatici e nella sicurezza dei territori, creando così nuovi e buoni posti di lavoro.
I Paesi con più vecchia industrializzazione, a partire da quelli del G7, hanno le più forti responsabilità storiche e pro capite in termini di emissioni e sfruttamento delle risorse. Sono anche quelli che hanno le maggiori capacità finanziarie, tecnologiche e manifatturiere per affrontare il cambiamento più velocemente, rispetto all'obiettivo globale di ridurre le emissioni del 46 per cento entro il 2030 e devono assumere impegni finanziari adeguati a sostegno dell'azione per il clima nei Paesi del Sud globale, riformare il sistema finanziario, i fondi per la mitigazione, l'adattamento e il fondo perdite e danni, eliminare i sussidi alle fonti di combustibili fossili e le spese militari, cancellare il debito dei popoli più poveri.
Tutti questi aspetti concorrono a definire il concetto di giusta transizione. Solo un approccio complessivamente trasformativo può cogliere la complessità e l'interdipendenza delle varie crisi: democratica, sociale, ambientale, climatica, bellica, economica, proponendo un modello alternativo di sviluppo sostenibile che cerchi di superarle coniugando equità, diritti, pace e rispetto per il pianeta.
La giusta transizione deve essere governata anche a livello nazionale, attivando un processo partecipativo e di confronto e contrattazione con le parti sociali per affrontare la doppia transizione, ecologica e digitale.
L’obiettivo deve essere quello della piena e buona occupazione da perseguire creando nuova occupazione, anche con la realizzazione diretta da parte dello Stato di lavoro garantito nei settori strategici a emissioni nette zero e nella tutela dei beni comuni, e con un piano nazionale per l’occupazione che superi i divari di genere, generazionali e territoriali, verso i migranti, le persone disabili e Lgbtqi+ che caratterizzano negativamente il nostro Paese, contrastando il lavoro povero, la precarietà e le disuguaglianze.
Servono protezione sociale universale, formazione permanente, riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori coinvolti nei processi di transizione, sviluppo di nuove competenze, tutela della salute e sicurezza sul lavoro, anche in relazione al cambiamento climatico, politiche attive del mercato del lavoro, contrasto alle delocalizzazioni, riduzione dell’orario a parità di salario, e anche contrasto alla povertà energetica, mobilità sostenibile accessibile per tutti, servizi essenziali e garantiti e di qualità.
Gli aspetti relativi all’eliminare gli impatti sociali della transizione devono essere alla base di un confronto specifico per il piano sociale per il clima che andrà definito l’anno prossimo per finalizzare l’utilizzo del fondo sociale per il clima.